Vivian Maier e il cinema

Vivian Maier, un manuale perfetto per rubare l’intimità con il cinema.

Il cinema e i filmati sono basilari per studiare Vivian Maier. Aiutano a far capire dove il suo occhio cadeva, come sceglieva le persone da fotografare, come catturava le sua prede fotografiche lo si vede bene nei suoi film. Nella fotografia di strada riusciva sempre ad entrare in contatto con uomini, donne, anche bambini. Con loro si stabiliva una sorta di intimità immediata e sceglieva un istante favorevole per quel che voleva dire e voleva mostrare.  In questo video ci sono le testimonianze di due sue compagne di scuola quando frequentava la elementari in Francia e il racconto di uno studioso dell’Association Vivian Maier et le Champsaur. Tutte informazioni che son state fondamentali per costruire il mio spettacolo “Gli occhi di Vivian Maier, i’m a camera” che porto per i palcoscenici europei e anche nelle case private di cui presento una piccola scena il Film Center. Lo spettacolo l’ho presentato nel Cinema di Saint Julien en Champsaur che era frequentato da Vivian Maier durante i suoi soggiorni francesi.

Vivian Maier e il cinema. E non ve lo aspetterete ma andiamo in Francia. Nella zona della Hautes Alpes, Champsaur. Dopo Briançon, c’è Gap. Sulle montagne di fronte.

Ho scritto uno spettacolo su Vivian Maier che abbiamo presentato in Italia, Francia e Svizzera. Allestito due mostre e scritto un libro sulla grande fotografa. Insieme a Caterina Cavallari continuiamo a studiare la sua opera cercando di darle dignità come fotografa e come donna.

Siamo a Saint Julien en Champsaur. Quella è la zona della famiglia di Vivian Maier. I Jaussaud.  Ci siamo stati parecchie volte per le ricerche su di lei. Son bellissime zone. E piccoli paesini semplici ma ricchi, in particolare di persone splendide e accoglienti. Vivian Maier ci è vissuta in due momenti della sua vita. Durante il periodo della scuola d’obbligo, quando ci venne dall’America con sua madre e poi agli inizi degli anni cinquanta, poco più che ventenne e già con una voglia di fotoografie di cui vi parlerò, Curiosa e assetata di notizie e di cultura. Nella piazza di Saint Julien en Champsaur ho conosciuto  due compagne di scuola dei tempi di Vivian. Quindi è realmente esistita, smentendo tutti i dubbi sulla sua non esistenza, il creare confusione introno alla sua figura e decidere a senso unico  cosa lasciar trapelare e cosa occultare o più semplicemente inventare  una storia senza fare ricerche approfondite.  E su questo ci sarebbe da dedicare molte ore di argomentazioni. Insomma nella piazza parliamo di lei  di come si divertisse a scivolare sulla neve  nella strada principale  o come restasse ore e ore a guardare incantata  il mercato dal balcone di casa sua. 

Marinette Reboul ci racconta “Ho conosciuto Vivian, ma ero tanto giovane! meriterebbe fermare il tempo delle volte! Ha vissuto qua con la mamma.  Mi ricordo della scuola.  Lei era avanti di due anni.  È diventata famosa, ci sono stati articoli dappertutto.  Fotografa eccezionale.  Ha fatto delle foto meravigliose.  Ha fotografato delle cose inattese.  Fotografie che non sono abituali. Era alta, fisicamente non era male. Giocavamo a campana, era formidabile! Qui nella piazzetta. E quando c’era la neve scendevamo sul corso in discesa, lo facevamo tutto fino in fondo con lo slittino!”

Oppure di come non fosse contenta di partire per il suo ritorno in America nel ’38  dopo aver frequentato tutto il ciclo delle elementari in Francia pressochè in una bellissima campagna,  libera e senza pensieri.

Così ci racconta Lea Anselme. “Viveva un poco ritirata,  non era timida ma parlava poco. Era molto riservata. Non raccontava niente della sua vita. Era riservata. Non era scontenta, era riservata e quindi  il dialogo era difficile con lei.L’altro giorno sono stata dal dentista e ho visto delle sue foto su una rivista. Foto magnifiche. Me la ricordo quando era sul suo balcone  e guardava incantata la fiera. Mi sembra che non era contenta di partire per l’America. Mi sembra proprio che non voleva. Mi chiedo ancora se fosse davvero contenta di andarsene. È stata obbligata. C’era qualcosa che non la rendeva felice. Non era per sua madre. No, suo padre non l’abbiamo mai conosciuto. Era sempre alla ricerca di qualche cosa.”

In questa piazza c’è un cartello inchiodato sul tronco di un albero E sorprende in un paesino così piccolo ci sia una sala per le proiezioni. Ci raccontano si tratti di un piccolo teatrino. In quel teatro Vivian Maier ci andava durante il suo soggiorno francese. Soprattutto negli anni tra il 50 e il 52,  quando aveva 24 anni  e si era già inserita nella vita americana d New York. Bene il teatro è ancora funzionante, tutte le settimane apre,  c’e un circolo che organizza un cineforum. Insomma è tuttora attivo.  La stradina è stretta. Andiamo a vederlo. Semplice, artigianale. Col tempo, dopo le nostre frequentazioni, con gli amici dell’Association Vivian Maier et le Champsaur che stanno facendo un lavoro di ricerca e di ottima cultura sulla fotografa ci invitano a presentare lo spettacolo proprio lì. Quando è tutto pressochè deciso Allora ci andiamo per un sopralluogo. Una delizia. Un centinaio di posti. Un piccolissimo palcoscenico.  Tutto un poco cadente, provvisorio ma pieno di fascino. Allora ci mettiamo in moto per lo spettacolo, la traduzione, imparare il testo  e soprattutto la pronuncia  che va curata, raffinata. Finalmente vengono i giorni della rappresentazione. Si allestisce la rappresentazione e il montaggio di tutto il materiale, a malapena ci entrano il proiettore, che non può entrare dietro lo schermo di proiezione, ma l’emozione e la voglia sono alle stelle. Alla fine il pubblico arriva e si può dare inizio allo spettacolo. Tre repliche. Alla fine di ogni rappresentazione il dibattito, vengono anche i suoi compagni di giochi. Emozione fortissima! E’ un evento anche per la cittadina. Così come è stato quando hanno fatto l’esposizione di fotografie donate al comune da John Maloof e i soggetti ritratti si sono riconosciuti e si sono ricordati di quella scriteriata che andava in giro con due macchine fotografiche e scattava chiunque e ovunque, dai funerali agli eventi, i parenti e le amiche.

Continuiamo con il cinema e Vivian Maier Poi Vivian ritorna in America e si stabilisce a Chicago. Ci sono diverse testimonianze di persone che conoscono Vivian. Lei frequenta attivamente la vita culturale della città.  Cinema, teatri, biblioteche e università. Frequenta alcune lezioni ed interviene sempre con domande. Spesso si reca al Film Center, Una sala di film sperimentali,  il direttore è Jim Dempsey  che dichiara che quando lei gli parlava gli stava così vicino che sperava non ritornasse più. Ci sono stato quando sono andato a Chicago. Nel viaggio-studio per verificare i luoghi della sua vita ed alcune fonti. Ho fatto alcune foto  e nella scena dello spettacolo in cui racconto impersonando il personaggio di J., una sintesi dei diversi ricercatori della fotografa al quale è affidato  il compito di raccontarci i momenti storici  e cronologici della sua vita, racconta della frequentazione della Maier agli eventi culturali. 

A proposito di Cinema e Vivian Maier sono importantissimi i suoi filmati. Filmava in super otto e sedici millimetri. Interessantissimi. Andava in giro con a tracolla a volte una solo  a volte con due rolleiflex  e anche una cinepresa.  In quelle pellicole c’è molto da capire. Secondo me ci sono i veri occhi, si scopre cosa lei guardasse davvero,sono come degli studi, degli abbozzi.  Si capisce cosa cercasse delle persone.  Sono proprio la testimonianza  di dove cadesse il suo sguardo cosa le interessasse davvero. Si fissava su di un particolare, non gli staccava gli occhi di dosso.  Sapeva individuare le persone particolari,  sembrano i filmati di una caccia grossa. Aveva un occhio magico. Sembra una fotografa istantanea. Ce l’hanno sempre presentata come una persona compulsiva, una sorta di serial killer della fotografia, che impazziva se non scattava, ma secondo voi chi non è così dei grandi (o piccoli) fotografi? Di ogni appassionato di questa pratica? Abbiamo abbastanza questa idea. Scatti, scatti scatti in continuazioni, frenetici, era malata,compulsiva, click, click, click in continuazione. Ma attenzione, lei guardava prima, seguiva, braccava la sua preda con attenzione. Con tenacia e cura e circospezione. Certo poi se ne andava. La pensiamo… come un gatto.  Tin tin tin si avvicina stile cartone animato, nascosta,  furtiva, click e via.

Su di questo ho scritto una mezza paginetta nel libro. Si intitola “L’autre Vivian, un viaggio inedito nella Francia di Vivian Maier”  e riporta molte interviste, ragionamenti e ricerche sulla grande fotografa. Nel brano che vi presento parlo un poco di fotografia. E sono quasi parole che attribuisco a lei. Ve la leggo.

“Veloce non significa affrettato. La velocità si avvicina alla rapidità, ha qualcosa di animalesco è una dote fondamentale per un fotografo, si deve avvicinare anche silenziosamente, deve dominare la situazione, deve essere reattivo, deve prevedere, deve impostare i parametri della macchina fotografica. Affrettato è usato troppo spesso come sinonimo ma significa ben altra cosa, una fotografia affrettata non è pensata, non nasce da un bisogno, da uno stupore, da una ricerca, accade, è molto simile al termine “di sfuggita”, sa di animale in fuga, quando si avvicina fa disastri, è dominato dalla situazione,  sa reagire perché scatta, quello che viene viene, magari avrò fortuna. Vivian Maier sicuramente in questo senso amava la velocità. Veloce, mai affrettata”

Questa è un poco la nostra malattia, essere veloci, soprattutto e troppo con le fotografie.

Ma torniamo ai filmati super otto. Perchè ce n’è uno splendido. Sapete, lei faceva la bambinaia e ha seguito per tantissimo tempo  i 3 figli della famiglia Gensburg. Si affeziona tanto a loro.  E loro a lei, così tanto che saranno loro  a prendersi cura di lei quando invecchia,  loro trovano per lei un’appartamento al Rogers Park di Chicago Ci sono stato.

A Chicago c’è un lago enorme, il lago Michigan L’orizzonte è sempre acqua, come il mare, dall’altro lato c’è il Canada. Insomma in questo parco, un piccolo parco ci sono arrivato. Ed arrivarci è un’esperienza  La fermata è soprannominata “The Hell”, l’inferno. Scendo e capisco immediatamente,  poichè ero solo,  che la prima cosa da fare è ritirare la macchina fotografica,  nasconderla per bene. Arrivo nel parco e trovo la panchina dove lei sedeva per ore e ore  a guardare il lago,  la gente. E’ un piccolo parco. Molto molto carino. Qui i suoi bambini i tre figli Gensburg la aiutano a sopravvivere e un poco la seguono. La aiutano a trovare casa. E a proposito di loro il film più bello è quello del campo delle fragole. Un grande campo dove Vivian li accompagnava sempre. Era il loro preferito. Una sorta di giardino segreto. Luogo di giochi. Si dice che lì i fratelli abbiano disperso le sue ceneri. Insomma: c’è il filmato di questo campo. Probabilmente uno di loro, o un loro amichetto si impadronisce della super otto di Vivian e li filma.Da qui si capisce anche come lei si dedicasse loro. Una tata ideale,  una splendida zia quasi.

E vorrei chiudere con l’arte del cammuffamento. Potremmo intitolare questo capitolo finale. Il cinema è l’arte ideale del cammuffarsi, come il teatro.Vi riporto le parole di Gaston Gay  un membro dell’Association Vivian Maier et le Champsaur ce ne parla.

“Questo “camouflage” penso nel vestire nell’essere di non parlare le permetteva di rubare la loro intimità delle persone di prendere sul vivo non so se di dice un istante il più favorevole per quel che voleva dire quel che voleva mostrare  Li prende nel vivo.  Un istante, il più favorevole per quel che voleva dire. Voleva mostrare.  Ha fatto un lavoro fantastico in America: mostrare la vita della gente  sia povera sia ricca,  sia giovane sia vecchia  e questa testimonianza storica e sociologica  prova che questa signora che per me è una  signora, ma una donna prima di tutto,  e dunque una signora, perché aveva una visione universale, una visione moderna. Voleva mostrare a tutti le qualità ,ma anche tutti i difetti della società americana.  Lei andava nei quartieri poveri, pericolosi e questo “camouflage” nel vestito nell’apparenza di una donna senza essere troppo donna le permetteva di prendere queste foto, rubate, e di non essere disturbata dagli uomini e dalla gente.”

Ecco questa era Vivian Maier e il cinema.

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http://www.association-vivian-maier-et-le-champsaur.fr

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