Non ci avete mai fatto caso in quante foto di Nan Goldin ci sono delle finestre? E questo cosa vuole dire?
Ho fatto caso a questo particolare mentre preparavo lo scorso video dedicato alle finestre.
Quanto mi piace Nan Goldin!
Le sue foto, la somiglianza della sua storia con Vivian Maier (che conosco bene poiché l’ho studiata a lungo) e poi perché all’inizio lei presentava le sue diapositive proiettandole nei club londinesi con delle performance musicali, insomma erano degli eventi dal vivo (che conosco bene perché è molto vicino al mio modo di presentare le foto), cosa insolita per i fotografi.
LA SUA DIFFICILE MA SALVIFICA VITA – PRIMA PARTE
Nan Goldin ha undici anni.
Barbara, la sorella maggiore, muore suicida. E’ un profondo dolore per Nan Goldin. Il tema del suicidio e del delicato rapporto figli genitori, resterà una costante della sua ricerca.
I genitori si rifiutano di raccontare l’accaduto sia all’esterno che all’interno di casa convinti che questo li aiuterà ad superare il tragico evento. Così si ottiene proprio l’effetto opposto: Nan manifesta il desiderio di conoscere e parlare della verità, cosa che continuerà a fare per sempre.
Da giovane viene espulsa da diverse scuole per aver fatto uso di marijuana, vive in diverse famiglie affidatarie. Si iscrive alla Satya Commenti School di Lincoln. Poi si iscrive ad un’ istituto d’arte a Boston. Trasloca a Londra poi a New York, lavora e scopre i locali della sottocultura. La fotografia resta il suo punto di sicurezza e forza, compagna di risollevamento e analisi. Inizia a documentare i suoi luoghi prima in bianco e nero e poi a colori e con l’uso costante del flash.
Sperimenta con la fotografia, segue corsi di Henry Horenstein che le cambia la vita. Lui è un ex storico poi fotografo che diceva “Ho capito quasi subito che la vita di uno storico sarebbe stata piuttosto noiosa, mentre quella di un fotografo non lo sarebbe stata affatto”. Horenstein porta nella sua fotografia quello che gli studi della working class gli ha insegnato.
Quindi cerca e fotografa lavoratori le cui voci di solito non si sarebbero sentite.
Uomini che lavorano sodo e al contempo sognatori solitari. Un mondo dove gli uomini indossano magliette macchiate di olio dei motori, pantaloni da lavoro informi e scarpe pesanti. Oppure fa dei film che hanno come titolo “Partners, love comes in all forms”, l’amore si presenta in tutte le forme. di cui vi consiglio la visione. Link in descrizione.
Il suo messaggio era: Devi essere veloce, ma non c’è problema. Insegna a lei la cronaca diaristica della vita, l’idea delle istantanee, l’attenzione alla vita dei gruppi di giovani ribelli. Un segno indelebile.
LA VULNERABILITA’ E L’AMICIZIA DELLA FINESTRE DI NAN GOLDIN
“La fotografia è come un lampo di euforia… e mi ha dato una voce”.
Sono immagini spietate le sue.
Le persone sono se stesse, legate nella vita, vicine. Eroi locali e quotidiani, punti di forza, riferimenti di un micromondo diffuso, una pletora di sperduti che non sapevano che fare mentre l’Aids iniziava la sua strage.
La fascinazione per quei piccoli mondi privati, protetti dalla luce di appartamenti, alberghi, villette. Ed e tutt’uno con quell’umano impulso di voyeur, che è un misto di poesia, di perversione, d’immedesimazione, di curiosità bonaria e di attitudine al ruolo di “spettatore”.
Le loro acconciature indisciplinate, i vestiti dimessi di casa, il lasciarsi andare. E lei è lì invisibile fotografa. Presente in quanto amica o convivente. Parte di quella casa, di quella situazione di quella comunità di sentimenti che stava pian piano manifestandosi. ma nascosta. Incasinata, presente ma tenuta nascosta dal perbenismo puritano della libera America.
comincia a usare la fotografia come un “diario pubblico”, riprendendo le sue coinquiline, amanti, amici. Qualcosa di molto vsimile ad un album familiare che poi diventa uno slide show diaristico musicato. Sesso esplicito e l’intimità, a volte violenta e aggressiva, della comunità di cui fa parte.
Sempre finestre, tante finestre nelle sue foto. Di ogni tipo.
Il suo è un reportage intimisitico. Cerca di essere rispettosa dei soggetti e non scandalistica come per esempio Diane Arbus,
“Il mio desiderio era mostrarli come un terzo genere, come un’altra opzione sessuale, un’opzione di genere. E mostrarli con molto rispetto e amore, per glorificarli in qualche modo perché ammiro davvero le persone che possono ricrearsi e manifestare pubblicamente le loro fantasie. Penso che sia coraggioso“
La loro presenza è fortemente drammatica, ma serena e abbandonata.
In un luogo sicuro, pieno di solidarietà e di amore, di fratellanza profonda.
Lei osserva.
Questo le permette di prendere le distanze, di rendere più distaccato il suo sguardo, per cercare di capire. Lei stessa dice che il suo diario di parole era molto più personale e le fotograie le permettevano di distaccarsi un poco di più, così potevano comunicare la vera situazione per poi condividerla.
Il suo è uno sguardo candido e affettuoso.
Con un’onestà senza fronzoli, Goldin non chiede al soggetto di entrare in contatto con la macchina fotografica.
La fotografia è intima e rivelatrice, e cerca di catturare la realtà dei suoi amici in tempo reale.
Sempre un glamour, un tocco, nelle sue foto.
Ha scattato candid foto dei suoi amici e amanti. Personaggi che spesso vivono ai margini della società. Molte delle immagini di Goldin sono come voci di un diario; registrano elementi intimi della sua vita quotidiana e delle sue avventure.
INTERMEZZO E ANALISI
“Cosa possiamo fare? esserci, dirlo ad altri, con dentro una speranza.”
Non è come Letizia Battaglia che presentava l’ineluttabilità dei “morti ammazzati” come li chiamava lei. Nan Goldin ce li presenta vivi, ai limiti, densi anche loro come i colori delle sue foto. Che svelano umanità.
Vedete è come con Vivian Maier, famiglie che hanno distrutto le persone. Questo è un dato comune tra loro.
Madri vittime, perdute, ma che nonostante tutto hanno provato a fare le madri, a proteggere come meglio (o forse è più giusto dire “peggio”) potevano. Che hanno tirato fuori la loro animalità istintuale di portare i figli al giorno dopo.
Nan Goldin, Vivian Maier non hanno pensato alle conseguenze delle loro foto.
Vivevano quella vita, quegli istanti.
Vivevano e fotografavano.
Erano loro stesse dentro ad un disastro di vita.
Non lavoravano pagati da qualcun altro per parlare dei disadattati, del circo da spettacolarizzare (non volevano, come altre fotografe e fotografi, che avevano capito che del disagio altrui ci si può vivere, arricchire, vivere alle loro spalle).
Nan Goldin è stata capace di trasformare la loro vita e il materiale intorno a loro
in una potenza profonda per il mondo. Ed è raro per l’arte.
Dice una cosa bellissima: quando ho cominciato a condividere (e guardate dice condividere e non mostrare!) perché l’arte è una tappa di un processo profondo, di una ricerca assillante, dentro se stessi, nel mondo che ci circonda. Così tutti questi ragionamenti, sofferenze, illuminazioni convergono in una foto, in un disegno, in un film, solo così diventano potenti. Sono una tappa finale o intermedia di un processo di approfondimento
che va molto in profondità,
che obbliga ad interrogare se stessi, spiazzare dubbi, fare sorprese,
scavare ferite.
E ad un certo punto si arriva a condividere il proprio risultato,
non a mostrarlo per urlare: guardatemi! , ma “guardate cosa succede nel mondo, che si è mio ma riguarda tutti, i nostri occhi disgraziatamente e apertamente chiusi”. Eyes wide shut.
Insomma diceva “quando ho cominciato a condividere il mio lavoro ho incontrato davvero una forte resistenza soprattutto da uomini galleristi e artisti che hanno detto che questa non era fotografia, nessuno fotografa la propria vita.”
“Questo non finirà bene” che è il titolo del film premiato a Venezia.
FINESTRE ANCORA
“E’ una cosa gigante contro cui mettersi,
la vita.
Una vita felice e piena di colori.”
Come le sue foto: piene di colori! Saturi, densi, bui nelle ombre, ma vivi.
I suoi bui, interni sgangherati.
Le sue immagini intime pongono l’accento sull’individualità dei soggetti, e gli infondono dignità ed empatia piuttosto che sulla loro sessualità o alterità.
Non è sensazionalistica o pornografica ma fotografa un flusso della vita, ampio e complesso. C’è sempre tatto e riservatezza, empatia. Vorrei aggiungere che c’è sempre un glamour, un tocco, nelle sue foto.
Poi, poco tempo fa ha dichiarato: “Il mio lavoro tratta semplicemente della condizione di essere umani, il dolore, la capacità di sopravvivere, e quanto sia difficile tutto ciò. Non c’è differenza, siamo tutti dei corpi. Vicini. Amore e rispetto, per glorificare i devianti perché ammiro le persone che possono ricreare loro stessi e manifestare le loro fantasie in pubblico.”
Joey si appoggia delicatamente allo schienale di una sedia, con il petto nudo ed esposto all’esterno. L’espressione di Joey verso il basso è parzialmente nascosta dalla sua voluminosa frangia, che contribuisce alla sua presenza enigmatica e al suo continuo fascino.
Un’inquietante scena di camera da letto illuminata da una finestra aperta. Gli interni di Goldin emanano una quieta contemplazione, pur conservando la sua caratteristica inquadratura e foschia fuori dal comune. Il contrasto e il colore eclissano uno stato d’animo o una narrazione chiari. Questa fotografia ambigua ritrae un cuscino bello gonfio in attesa su un letto solitario coperto da un lenzuolo sottile.
Questo spazio è un rifugio o una cella?
Gli interni di Goldin invitano lo spettatore a costruire una narrazione: perché si trova lì e quali segreti nascondono le pareti. L’unica presenza umana qui è suggerita da ciò che è stato lasciato dentro la stanza.
Le foto sono un invito ad entrare in questo mondo.
Stanze vuote, che risuonano di liti, amore, promiscuità delle foto precedenti.
Provvisorietà, pochi segni di presenza. E sempre, sempre finestre. Più vuoti che pieni, non c’è spazio per fronzoli o ricchezze.
Su questo tema, quello delle case in cui si vive mi sono provato a lungo, soprattutto durante la quarantena della pandemia. Ho anche preparato un e-book sulle foto del mio appartamento.
In bilico tra voglia di autonomia e bisogno di dipendenza (e quanto è vero nella nostre vite)
Le sue immagini hanno sempre il senso di una scoperta, le finestre sono una via di fuga, una fonte di sicurezza e di luce.
Registrare e raccontare tutto ciò che ha a che fare con lei, esattamente come è. Per salvarlo dal tempo. E denunciare, mostrare.
I’ll be your mirror (Lou Reed)
Sarò il tuo specchio / rifletterò quello che sei / nel caso non lo sapessi / sarò il vento, la pioggia e il tramonto / la luce alla tua porta / per dire che sei in casa
Nan Goldin vive nella parte trasgressiva della città, nella parte trasgressiva della nostra mente.
Credo – ha scritto lei stessa – che uno dovrebbe creare da ciò che conosce e parlare della sua tribù… Tu puoi parlare solamente della tua reale comprensione ed empatia con ciò di cui fai esperienza.
Molto, molto simile a Vivian Maier.
TUTTO SCORRE E SI TRASFORMA: UN NUOVO MONDO VERSO LE FINESTRE
Si cambia, si capisce, con un duro lavoro su se stessi e con il tempo dei giorni che passano, si fa pace. Si capisce. E tutto si schiarisce, lo sguardo si apre.
Da tempo, mentre si curava dalla dipendenza da droghe e alcool, scopre che è proprio un medicinale che crea dipendenza dagli oppiacei e porta alla morte. Da riparte una battaglia giusta e feroce.
«ll nostro primo obiettivo è stato la filantropia tossica della famiglia miliardaria Sackler, che ha innescato l’epidemia di overdose di oppioidi con il loro farmaco di successo, OxyContin. Abbiamo smascherato le istituzioni che sono state complici nell’accettare le loro donazioni per anni e, attraverso l’azione diretta, abbiamo spinto con successo molti musei e università a rifiutare i finanziamenti Sackler e tagliare i legami con la famiglia.”
Guardate come le stanze accettano le finestre, la luce si ammorbidisce. Le stanze si svuotano. C’è maggior ordine. Libertà anche negli interni.
“Sono Nan Goldin…, delle volte”
E ci dice “e guardatele le mie foto di adesso”, guardate dalle finestre, aprite lo sguardo, sognate la vostra vita, state accanto a chi guarda lontano. Aiutate e proteggete i loro sogni. Essere grati e scusarsi sono la base di una amicizia di una fratellanza. La mancanza di comprensione è una grande malattia di questi tempi.
Tutto si basa su una famiglia con piccole aspirazioni, chiuse, fatte di mariti, mogli e figli e così si dimentica l’amicizia, la solidarietà il bisogno degli altri. Le “famiglie di sangue” di Nan Goldin ci dicono proprio l’opposto, per questo ci sono anche tante finestre nelle foto che ho scelto, e non ho avuto difficoltà a trovarle, perché fuori c’è sempre un mondo, una luce, una speranza, il confronto.
FINALE LE FINESTRE ESISTONO PER SALTARE FUORI
Trovo difficile credere che tu non conosca
la bellezza che sei.
Ma se non lo sai,
lascia che io sia i tuoi occhi
Una mano per la tua oscurità
così non avrai paura.
Ma alla fine da quelle finestre lei ci esce,
si butta
e scopre che esiste la felicità.
Honda Brothers In Cherry Blossom Storm: cercatela qui. I fratelli Honda nella tempesta dei ciliegi in fiore.
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