Abbandono al parco

“Non parlarmi di altre cose, parlami di te” #25

ore 7,28 allenamento.

Qui di tempo ne è passato. Tanto. Abbandono al parco. Tante promesse di novità. Invece ancora vince il provvisorio. E’ una forma mentale il provvisorio. Piega. E’ figlio del non progetto. Allora forzo la fotografia. Questa è la città che non vorrei. Ovunque fossi.

L’idea collettiva di una città che funziona, che è sempre presente, che è in fermento. Che è di tutti e costruisce il bene per tutti.

E diventa il ricettacolo di frasi senza senso scritte sui muri, urlate per nessuno. Solo perchè si avverte il male su di sè e lo si comunica ai proprii simili. 

Anche le piante seppur resistendo subiscono e vorrebbero andarsene. L’oblio genera altro oblio.

La panchina abbandonata

una panchina abbandonata nel parco

“Non mi devi raccontare di altre cose, mi devi raccontare di te” #14

ore 7,12 allenamento deviazione

Dopo i lavori nel parco qualcosa è andato dimenticato. Seppure sia sul piccolo sentiero segnato dalle frequentazioni, la panchina abbandonata è dietro ad un muretto, l’hanno spostata a forza e nessuno la vede. La vegetazione si impadronisce di lei, lentamente.

Mi devo abbassare per fotografarla, quasi mi inginocchio. E’ come inchinarsi in presenza di un saggio anziano. Guardo le sue rughe, scopro la sua lentezza.

Le panchine hanno tante cose da raccontare. Ancor di più se tentano di nasconderle.

I cipressi sventrati

un gruppo di cipressi quello davanti è sventrato

“Non mi devi parlare di altere cose, mi devi parlare di te” #10

ore 7,23

Sono dei cipressi sventrati quelli che vedo stamattina correndo nel parco. Per rispettare le regole che mi sono imposto devo scattare con il cellulare uno scatto solo e non metterci più di tre secondi prima che la voce del programma di allenamento termini la sua frasetta dove mi indica che sono entrato in pausa. Almeno mi sveltisco a comporre un’immagine gradevole, indago su che cosa il mio occhio normale si è concentrato, cosa volevo far risaltare che valesse la pena di fare una fermata. Allora scatto.

E scopro che questi alberi, questo gruppo di alberi visto dalla parte opposta sarebbe normale, nel senso che ci farebbero una bella figura, sembrerebbero interi. E riflettendo su questo mi rendo conto che sono una quinta, una finzione scenografica, sono piatti. Dietro non c’è niente non c’è quell’imperfezione violenta. L’altro lato delle cose, la finzione.

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