Le fotografie sono finestre

La finestra che ha dato inizio alla creazione del mio spettacolo su Vivian Maier è stata quella di intrufolarmi in una sua foto, l’ho abitata, incredibile sacrilegio. Da lì è stato un continuo ragionare sulla fotografia come finestra, una finestra portatile. Guardare, curiosare, analizzare. Le finestre di Jean Loup Sieff, Rodney Smith, Shizuka Yokomizo, Giorgio Barriera, Michael Wolff, Keichii Tahara e Vivian Maier, oltre alle mie, ci accompagnano in questo viaggio. Usare le finestre per guardare fuori oppure lasciare entrare dalle finestre: il mondo, i suoni , la luce. Lasciarsi guardare e guardare attraverso, questa l’altalena del nuovo video.

Bentrovate e bentrovati. Il titolo di oggi apre e forse anche chiude. A cosa servono le finestre? 

Prima finestra, la mia. Grazie alla pioggia e al restare in casa.

Ecco la foto che ha dato inizio alla mia ricerca. Ci sono foto che non puoi fare a meno di scattare. Telefonino e via. 

La finestra che ha dato inizio alla creazione del mio spettacolo su Vivian Maier è stata quella di intrufolarmi in una sua foto, l’ho abitata, incredibile sacrilegio. Vi faccio vedere.

“Da qui controllo tutto, vedo tutto, l’edicola è un osservatorio, è la mia finestra sul mondo. Qui vendo il mondo mentre loro osservo.”

Questa è la mia idea di fotografia: c’è tutto quanto, tutto quello che penso sulla fotografia: è una tendina che si apre, questo succede anche nelle macchine fotografiche. Una tendina che si alza e fa passare la luce. Si alza il sipario, si va in scena! Ci si apre alla luce per una manciata di centesimi di secondo. E fuori ci sono io che guardo il mondo. La fotografia è una grande finestra. In più ha il vantaggio di essere mobile, possiamo portarcela dietro, possiamo decidere cosa farci entrare e che cosa lasciare fuori. 

Succede sempre che quando vado nelle case sconosciute di amici oppure di conoscenti, alle feste, quando entro in un ufficio, la prima cosa che faccio è affacciarmi alla finestra. Non so perché però guardare, curiosare, scoprire un punto di vista che non sia il mio solito mi affascina. 

Il primo ricordo di questa sensazione fu quando andai dal mio amico che abitava al piano di sotto.  Ero piccolo, avrò avuto 6, 7 anni, lui abitava esattamente sotto di noi.  Mi affacciai e dalla sua finestra vedevo un’altra cosa, un’altra città, un  altro mondo. La posizione era la stessa ma alcuni dettagli non c’erano più, altri erano più marcati come se ci fosse stata una distorsione.

Ho fatto un viaggio in america. E’ quello che vi ho appena raccontato. Entrato in hotel, affacciato alla finestra e scattato. Immediatamente. E’ poi è diventata il manifesto di una mostra, si intitolava “Paesaggi parziali”. Essere parziale, con la mia fotografia non posso essere assolutamente oggettivo ed imparziale. 

Quello che da fuori arriva dentro. Luce, libertà. Altri suoni, silenzi. Vi farò vedere non tanto quello che dalle finestre si vede, si spia, ma quello che entra dalle finestre. Luce il più delle volte. Perché le finestre non sono fatte solo per guardare fuori ma sono fatte perché qualcosa entri. Il mondo per esempio, l’aria, la luce, i suoni.

Senza francobollo 15 – La dispensa nella foresta

Ciao a tutte e tutti.

Bentrovate bentrovati alla blogletter settimanale di Roberto Carlone. Senza francobollo numero 15. Venerdì 28 ottobre 2022.

Questa blogletter la trovate in versione normale su Substack o qui, in versione video su YouTube, su Facebook, in versione audio sul podcast. Se non siete ancora iscritti vi consiglio vivamente di farlo in modo da riceverla nella vostra casella di posta elettronica ogni settimana.

Passeggiata nella foresta con il pretesto del foliage, e quale pretesto. Una giornata intera nel Parco Nazionale delle foreste Casentinesi Monte Falterona e Campigna. Da prato alla Penna al rifugio di Fangacci. Vi porto un poco con me in questa meraviglia della natura.

Dicono sia un tratto tra i più belli da percorrere a fine ottobre. Uno va a fare una passeggiata e fa scorta di ossigeno, viste, fotografie, speranza e poi le mette tutte in dispensa per i giorni bui a venire. Si riconnette con il mondo, con se stesso, capisce e si immerge nella vastità e nel mistero più profondo.

Oltre che a mantenere il corpo in movimento perfetto allineandosi con il ritmo dettato dal terreno salite e discese incluse.

Lo dice David Le Breton nel sui libro “Camminare. Elogio dei sentieri e della lentezza

“Il camminatore può far cadere le sue eventuali maschere, perché sui sentieri nessuno si aspetta che interpreti un personaggio. E’ anonimo, senza altro impegno oltre a quello di vivere l’istante che viene, di cui lui stesso decide la natura. Il cammino è un esperienza provvisoria di assenza di gravità delle esigenze della vita collettiva”.

Uh! Devo dire che al ritorno il tratto in salita bello ripido ha attivato tutta la forza di gravità, altro che assenza. Per fortuna che avevo due macchina fotografiche che mi “obbligavano” a piacevoli soste per ascoltare ed immergersi e in quella solennità silenziosa, per capire i giochi di luce, i colori imperanti, le sfumature sottili per restituirle in fotografie dopo averle fatte passare al vaglio dell’artista che si risveglia inevitabilmente in noi. Scatti meditati, scelti. La bellezza del scegliere. E scegliere quello che più ci tocca, quello che ci suggerisce un tronco o un mucchietto di foglie.

E fare lo slalom tra i tronchi con lo sguardo che cerca un orizzonte, oppure lo slancio verso i cieli.

 E scattare anche in bianco e nero per cercare segni, disegni, forme, linee, intrecci. Leggerezze.

Non solo un alfabeto da decifrare ma un romanzo o una sinfonia.

La natura vince e pensando a quei luoghi adesso sapere che sono lì soli, soli nella luce o nella notte, vivi e fermi, monumenti. Qull’albero che mi si è offerto allo sguardo, quel muschio o la miriade di funghi, sono adesso là a parlare al mondo, a essere a diffondere confusione e bellezza, trasformazione in una festa i colori che dura pochi 


Questa settimana ho pubblicato “Una caffettiera nell’universo

sul Canale YouTube, pare sia piaciuto moltissimo ha fatto il record di visualizzazioni da quando ho cominciato a pubblicare.

Cosa ci sta a fare una caffettiera nell’universo? Ecco sono partito dalla canzone dei Beatles “Across The Universe” e ho giocato con piccolo nuovi esperimenti visuali, gravità quantistica e sanscrito. L’esperimento è stato inserire un frammento di un immagine creata on l’Intelligenza Artificiale, un pianeta rosso rotolante nel nero. L’intelligenza artificiale ci permette delle cose, ci fa risparmiare tempo e se la si riesce a domare per i nostri desideri e necessità è di grande aiuto, diciamo che è una mano in più per questo autarchia-autismo, prolunga di noi stessi per espandere i propri limiti e creare in autonomia. Ho anche suonato tanto, più del solito, sto cominciando a prendere confidenza anche con questa parte, e mi diverto perdendomi in improvvisazioni lunghissime che fortunatamente taglio. I capitoli in cui è suddiviso il video parlano della storia, della canzone, dell’universo e si chiudono con la domanda, quella con la D maiuscola. Niente spoiler, andate a guardare il video, appena finito di gustarvi questa newsletter.


Domenica passata sono stato a FotoAntiquaria, una mostra mercato scambio di macchine fotografie d’epoca. E non ho resistito e mi sono preso un gioiellino. Una Rollei 35 TE. Una macchina fotografica a pellicola che è un gioiellino. Anno di nascita 1961. Corredata con il top della tecnica e della meccanica, che tuttora è ineguagliabile. Microscopica. Praticamente una macchina costruita intorno alla pellicola 35 mm. La usavano Stanley Kubrik, Andy Warhol, Kurt Diemberger, Luke Wilson nel film di Wes Anderson e la Regina Elisabetta che la portava sempre con sé nei suoi viaggi.

 

Per chi fosse incuriosito vi lascio un link di un bellissimo articolo di Stampa Analogica


Per il futuro vi dico che sto girando per le città di notte che sto preparando un nuovo video con un tema urbano. Tinte forti e bianco e nero strong. E poi che sta per arrivare un evento live, uno dei miei spettacoli on line, la data prevista sarà con due repliche nella settimana centrale di Novembre.


Dalla prossima newsletter cambierà il server di sostegno della blogletter e ci sarà la migrazione verso Substack, una piattaforma formidabile di notizie, quindi cambio di impaginazione e una interfaccia un poco più social e aperta. Mi sa che farò un test in beta già con questa. Se volete dare un occhiata c’è il link in descrizione XXXX


LA musica la musica la musica che vi consiglio questa settimana sono i The Cure con “A Forest”

Vieni più vicino e guarda, guarda dentro gli alberi, trova la ragazza, mentre puoi vieni più vicino e guarda, guarda nell’oscurità, segui i tuoi occhi, segui i tuoi occhi

Vi saluto e vi lascio un bacio,

Ciao

Come potete aiutare il mio progetto a crescere? Condividendo questa newsletter con le vostre amiche e i vostri amici, oppure iscrivervi al Canale YouTube, oppure contribuendo con una donazione su Tipeee la piattaforma per i creatori di contenuti che si basa su libere donazioni. Sandra R. questa settimana ha contribuito con una splendida donazione, grazie Sandra!

Diretta Autunno 2022

Novità Autunno 2022

Il lancio ufficiale di SOSTIENI ROBERTO

Vi aspetto Giovedì alle 21,15 per presentarvi le novità per questo autunno 2022. Dopo i 500 iscritti sul Canale YouTube (525 ormai) parleremo della tribùche siamo diventati e festeggeremo il lancio ufficiale della piattaforma Tipeee per essere insieme, sempre più vicini restando liberi, permettendo la diffusione di un internet leggero, gentile e profondo.
E poi la nuova stagione di teatro-casa, la Community e i nuovi video.
E risponderò alle vostre domande, proposte, richieste, curiosità.

Per vederla insieme questo è il link quindi clicca qui

Senza francobollo #9 Mettere una pezza

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Mettere una pezza: Aqua, Danza e Spettacoli


Senza francobollo la newsletter settimanale di Roberto Carlone.

Ciao a tutte e tutti.

Bentrovate e bentrovati. Qui Roberto Carlone. Venerdì 1 luglio 2022. 
Mettere una pezza: acqua, danza e spettacoli. Ovvero siccità, testamento spirituale di Rudolf Nureyev e spettacoli pericolanti. Più altre informazioni varie. La settimana appena passata, anzi ancora in corso (anche in versione solo audio, oppure video).

Settimana in cerca di frescura, come tutti del resto. E il problema siccità.
Qui ad Arezzo siamo ancora messi “bene”. La Toscana è in zona gialla con le piogge scarse che sono insufficienti a ricaricare le falde, tuttavia le situazione non è ancora ancora di grave sofferenza. Comunque non si può utilizzare l'acqua della rete idrica pubblica per scopi diversi da quelli igienici e domestici. L'acqua del rubinetto si può bere, ci si può fare la doccia e si può usare per casa. Non può essere usata per annaffiare l'orto o il giardino, per lavare l'auto, per riempire la piscina. E chi si sostiene con un orto che serve per alimentare una famiglia? Sempre situazioni di emergenza, deroghe, rattoppare, improvvisazioni. Ridurre le perdite degli acquedotti no? Sviluppare le città con attenzione ai nuovi cambiamenti climatici (che andranno a peggiorare nelle prossime estati o che al massimo resteranno in questi standard). Al solito lungimiranza, cura, progettualità a lungo termine da parte degli amministratori sono le priorità.  Cresciamo la futura generazione politica capace di dare queste risposte, concediamo spazi solo a chi cresce con questi valori, facciamo catenaccio contro gli altri, non lasciamo spazi di azione, mandiamo avanti solo chi ha chiaro il bene comune, imponiamola, richiediamola. Siamo esigenti.  e smantelliamo quella non grado di pensare al bene comune. Oltre alle nostre attenzioni personali, private, civili e quotidiane. Ad esempio cambiare i fiori nei giardini e nei balconi con alcuni che necessitano di meno acqua.

Si poteva fare un uso leggero dell’acqua quando il suo ciclo era equilibrato e continuo. Ora non lo è più, è più che evidente, e dobbiamo adeguarci, visto che tornare indietro non è più possibile. E questa non è più una posizione catastrofista, ma reale ed oggettiva.

Vi propongo un video molto interessante del prof. Telmo Pievani, che analizza la questione della calamità, l’ineluttabilità di questa situazione attuale. Smettere di pensare in termini di emergenza che non potranno funzionare.  Il link è qui di seguito: Siccità.

Il testamento Rudolf Nureyev. C’è chi invece non ha messo una pezza sulla vita ed è stato Rudolf Nureyev, il grande danzatore.
Il suo testamento spirituale è esaltante e ricco. L’ho letto per voi e trovate il video su Canale YouTube

L’invito è a guardarlo e gustarlo nella sua profondità, la scrittura è di alto livello, un testo lirico che si può adattare a qualsiasi vita, un’ispirazione potente e determinata scritta mentre stava lasciandoci devastato dalla malattia. Ci ho suonato un piccolo brano. Fatemi sapere che ne pensate nei commenti.
E non dimenticate di mettere il vostro sonore “mi piace” oppure di iscrivervi al canale per restare sempre in contatto. Non lo dico per vanità ma per contribuire a far crescere il canale, che sfiora ormai i 500 iscritti e ha superato le 14.000 visualizzazioni. Sono sempre più contento dell’attenzione e fedeltà con la quale premiate questa creatività e i miei sforzi. Grazie!

Roberto mi ha scritto: “Le parole di Nureyev danzano bene quasi quanto lui!!! Grazie Roberto.”, Cecilia aggiunge  “Roberto mi hai fatto ballare sopra le nuvole: la scrittura, la musica, la narrazione della vita!”. Mentre Eleonora  mi provoca “Tu che dici? Lo sapresti redarre un testamento spirituale?”: le ho risposto così “ E’ una risposta estremamente difficile… Diciamo che ogni spettacolo, ogni video che faccio è una piccola goccia del testamento spirituale. Per ora.”

Ma andiamo a danzare con Nureyev, cliccate sul bottone qui sotto. Dura 10 minuti e l’ho inserito nella playlist Teatro-casa.

Guarda il video

I teatri cadono, o meglio i palchi estivi collassano. La tettoia di un palco a Bassano del Grappa all’inizio della settimana e la fiancata del palco fisso di Sarzana ieri. Turni massacranti, alcuni tecnici parlano di giornate senza riposo, una corsa ad armare le piazze per spettacoli mastodontici dai costi estremi dove solo i grandi e gli ufficiali sopravvivono mandando avanti carne da macello sottopagato in nome delle sfarzosità capricciose delle produzioni.

Sembra che tutto luccichi ma intanto le fasce più creative, la vera massa che sostiene il teatro italiano viene dimenticata, le esibizioni si sono ridotte del 50% e pure i cachet. Anche su questo versante si mettono delle pezze. E in parallelo si burocratizza e diventa sempre più “star-sistem”, il teatro.

Scusate ma sono molto in crisi per questo andazzo “storto”, che sega sempre più libertà e creatività, e diciamolo diritto al lavoro. Anche qui è diventato tutto tremendamente autoreferenziale.

Ma siamo felicissimi di essere nelle piazze, di incontrare la vera voglia vitale del pubblico di divertirsi, di crescere. Non facendoci male.

A questo proposito per chi non lo avesse visto vi consiglio, per una via parallela, “Teatri e macerie” dove analizzo e parlo della distruzione dei teatri durante la guerra mondiale.

Manca una settimana al lancio ufficiale di Tipeee. (vi terrò informate e informati: mi piacerebbe fare uno zoom insieme, anche per augurarci una buona estate).

Di cosa si tratta? Cos’è Tipee? 

E’ una piattaforma europea creata per i creatori di contenuti on line per raccogliere fondi, per farsi sostenere dalle proprie community per permettere di continuare a fare quello che si fa, e di essere liberi dalla pubblicità.

Già mi seguite e vi siete affezionati, mi apprezzate e alcuni di voi sono più legati e siamo diventati, stiamo diventando una piccola tribù a cui piace un uso profondo e stimolante della rete, di internet. Non fare sponsorizzate, non fare pubblicità, non fare video di sostegno a qualche prodotto (le cosiddette “marchette”) essere liberi da vincoli. Continuare a produrre video, musiche, articoli e fumetti. Continuare a produrre contenuti pubblici continui e costanti. Non smettere di fare quello che si fa e lasciarlo accessibile a tutti. Così la community continua ad essere libera, indipendente. Un appello a donare per sostenere quello in cui crede, quello che vede.

In più si crea una nuova tribù. E anche qui restl’idea di condivisione, non di mercificazione, di promesse.

E che cosa ci trovate in Tipeee? ci trovate il dietro le quinte, contenuti esclusivi, fotografie. Incontri Zoom, dirette. E tante altre sorprese.

Ad esempio questa settimana ci sono, tra le news riservate ai sostenitori, delle musiche in esclusiva.
Prima di registrare le musiche per i video del canale, improvviso per cercare la musica giusta. Così è successo mentre preparavo la musica di intermezzo per il video del testamento spirituale di Rudolf Nureyev nella mia cantina saracina, il mio bunker creativo. A volte servono solo poche note per accompagnare le foto che presento, qualche secondo, ma queste arrivano dopo minuti e minuti di ricerca. Ecco per i sostenitori c’è questa chicca. E questo momento non lo ha visto nessuno, lo condividerò solo con coloro che mi sosterranno.

Ora parto per il Caterraduno a Pesaro. Vi lascerò qualche foto la prossima settimana.

Ciao,
un bacio,
roberto

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Bianchi

Il bianco in fotografia. 5 legami. Tutti i bianchi della fotografia. Cinque argomenti legati tra loro da 5 piccoli legami, ognuno chiama l’altro e lo spinge un poco più in là.

Tutti i bianchi della fotografia. Facebook mi ricorda di un avvenimento di 6 anni fa. Parto da qui e mi lascio portare per parlarvi di 5 argomenti legati tra loro da piccoli legami. Ognuno chiama l’altro e lo spinge poco più in là. Dei cortocircuiti che li mettono in contatto. E questo ci porta ad un colore che ci guiderá in  questa sera.

Non si tratta di un fil rouge ma bensì di un fil “blanc”. Il bianco ci guiderà nei pensieri e nelle foto di questo incontro.

Bianco n.1

E vi racconto perchè. L’avvenimento a cui mi riferivo è la mia prima mostra in via Cavour ad Arezzo. Si intitolava PAESAGGI PARZIALI ed era situata allo studio MILK. Milk è il latte, e il latte è di colore bianco. Partiamo da qui.

Ed entriamoci in questo colore.  Erano le foto di un viaggio in America. Scattai tantissime foto e mi proposero di esporle in questo studio che per l’occasione si trasformava in galleria. L’immagine di presentazione la intotolai “Hypnosis and Reflections”. Arriviamo in hotel e dalla finestra il primo paesaggio che vedo è un palazzo grande con le sue finestre che si ripetono fino all’ossessione.  Ogni finestra una vita, una storia. E il sole che radente evidenzia ogni mattone, ogni fregio. Lì di fronte c’è il mondo condensato. È un condensato di vite ai margini. Prostitute, spacciatori, vite al limite.

Paesaggi parziali perché?

Questa la cartolina di presentazione. La presentazione diceva così: “paesaggi visti da un turista: assimilo tutto come un paesaggio che si schiude ai miei occhi senza intenzionalità, che ti capita davanti, non lo scegli e non cerchi niente, ti imbambola, riflette ed ipnotizza, si moltiplica. Trovi sempre dei buchi, delle crepe, delle finestre attraverso cui guardare e al di là delle quali senti che si apre un mondo in cui da turista non puoi che definire parziale”. Le prime foto che accolgono i vistatori della mostra all’ingresso raccontano dell’inizio del viaggio: Capisci che l’America è un’altra cosa quando ti svegli nel cuore della notte e vedi dal finestrino ghiacci che non hai mai visto. Immensi e galleggianti.  Ti dicono che stai andando lontano.  Da un’altra parte. Spazi aperti e sconfinati ti aspettano ed esistono. Arrivi. Lo sai e lo senti che sei controllato, schedato, l’immigration ti fa sentire in quarantena anche se dura mezzora, ammassato, controllato, schedato . La storia dei nonni che si ripete, e che silenziosamente ripeti. Lasci le impronte, cedi l’iride,  la proprietà del tuo corpo è momentaneamente loro.  Sanno chi sei senza sapere chi sei. E questo peró ti fa sentire libero. Ma nel medesimo tempo senti che potrai essere quello che sarai: un avventura possibile. Una sensazione rara.

San Francisco.

Splendida, libera, una città del possibile. Una giostra, le montagne russe, un continuo saliscendi. E ogni tanto uno spicchio di Italia. La nebbia arriva in due secondi. Bianca anche lei. Il golden Gate Bridge. Ma dal lato B. Un lato insolito.  In basso il brulichio di un cantiere. Il backstage di una attrazione. E poi Alcatraz, visita obbligata.  Li senti ancora quella ciurma di detenuti.  Al dilà, un’isola nell’isola. E un vetro non basta. Anche se il buco è dimensionato per la canna di un fucile in caso di rivolte. Poi alla Death Valley alla volta di Las Vegas. Qui i paesaggi non sono più tanto parziali ma infiniti.

Una sosta a Dante’s Peak nella Death Valley.

E scatto questa foto. Forse tutti sapete che il legame tra la Banda Osiris di cui sono il fondatore e Caterpillar di RadioDue è strettissimo, nostra è la sigla. Allora questa foto era perfetta. La invio alla redazione, piace.  Tutti gli anni c’è il caterraduno una festa, un incontro tra il pubblico e i conduttori. Un’idea geniale. Il giorno della chiusura c’è l’asta benefica per Libera di Don Ciotti. Prendo il coraggio e decido di offrirla. Insomma finisce che la foto viene battuta a novecento euro.  La mia prima foto resa pubblica. Novecento euro. Un valore gigantesco. Neanche Bollani che offre una chiavetta con tutte le sue registrazioni raggiunge una cifra simile. Lì ho capito a cosa serve una fotografia: è qualcosa di UTILE.

Ma ritorniamo alla Mostra e andiamo alla fotografia che amo di più e che è quella che ci permette di fare il primo salto.

Bianco n. 2 MILK.  Milk il luogo della mostra. Milk un locale di Castro, San Francisco. Milk. Harvey Milk. Adesso vi racconto. Siamo nel quartiere Castro. Il piû libertario. Entriamo nel bar, il bar a lui dedicato.  Giustamente prima di prendere una birrà mi chiedono i documenti. Questo è uno degli aspetti che mi piace dell’America. C’è una legge e si applica senza distinzioni. Anche se sei in una zona franca. Tutti uguali. Tutto chiaro. Sempre. Sandra si siede per tenere un tavolo. E la foto si crea da sola. Harvey Milk (1930-1978) consigliere comunale assassinato insieme al sindaco Moscone da Dan White un consigliere indignato per lo strenuo e persuasivo impegno di Milk contro la Proposition 6, la legge che avrebbe permesso il libero licenziamento degli insegnanti dichiaratamente omosessuali. Milk aveva aperto un negozio di fotografia nel quartiere di Castro a San Francisco. Fin dal suo arrivo a San Francisco si impegna per ottenere diritti per la comunità gay. Nel 77 viene eletto come consigliere comunale affermandosì così come il primo omosessuale dichiarato ad ottenere un ruolo politico rappresentativo. Nonostante San Francisco fosse a suo modo più aperta e inclusiva di molte altre città e aree del paese, la sua elezione risulta essere comunque uno spartiacque nel contesto generalmente più ostile e ancora arretrato nei confronti degli omosessuali. Dopo l’assassinio si arriva al giorno della sentenza molto blanda che indigna la comunità di Castro e spontaneamente si crea un corteo in sua memoria, a lume di candela e decorato dalle bandiere arcobaleno –simbolo del movimento omosessuale – nato in conseguenza di questi eventi,  “sottolineò il legame tra MILK e la sua comunità, tra le prime ad aver abbattuto il muro di silenzio e soggezione che divideva una parte sociale da un’altra, i diritti di serie A da altri di serie B,  gli individui dagli altri individui.  Ancora oggi, la figura di Harvey Milk (negli Stati Uniti, ma non solo. In Europa anche) rappresenta la determinazione di un uomo, di più uomini, nell’affermare il proprio orgoglio di parlare,  di partecipare,  di esserci e, prima di tutto, di essere.”

Ora creiamo un altro legame, un secondo cortociuito legato al bianco.

Bianco n. 3 Neve

Bianco della nebbia di San Francisco, bianco metereologico, bianco della neve. Come sapete ho creato uno spettacolo on line fatto di musica, racconto, cinema d’animazione e fotografie che ho scattato durante il periodo della quarantena. Si intitiola “Fotografie da appartamento” e lo presento sabato prossimo alle ore 21.00 in diretta e dal vivo su Zoom. C’è un capitolo legato al fuori, all’aperto,  alla vista che abbiamo dal terrazzo che dà sull’anfiteatro e ve lo vorrei proporre, un piccolo assaggio. Ha nevicato quando era quasi primavera. Eccolo qua. Il silenzio è stato il regalo più bello di questo tempo. Stupefacente la prima sera e poi la seconda e per due mesi, ogni volta così. Le foglie mosse dal vento, piccoli rumori impercettibili gentili compagni delle notti di luna.  Un lato dell’appartamento è verso una strada del centro: il lato urbano. E l’altro è quello più naturale grazie al parco dell’anfiteatro.  Da sempre in conflitto, inconciliabili.  Grazie ad un piccolo virus l’urbano e il naturale sono stati uniti dal silenzio. E la neve sancisce questa unione.  E’ inutile che vi dica che le città andrebbero ripensate.  Per almeno un mese mi sono detto che forse si poteva ripensare il mondo, le città, le abitudini, l’economia, il lavoro, la terra che ci ospita. E lo dice chi  si è conquistato il privilegio di vivere la vita che volevo. Abbastanza.  Poi tutto è tornato come una dissolvenza neanche tanto lenta verso la vecchia stupida, fottuta, noncurante, volgare  e violenta “normalità”. Ci vogliono tempi lunghi e tanta pazienza e virtù.

Bianco n. 4 il bianconiglio

Quarto CORTOCIRCUITO. Se si parla di Bianco allora si parla anche di Bianconiglio. Ho riletto Aiice nel periodo della quarantena. E oggi mi è tornato in mente un brano musicale.    WITHE RABBIT dei Jefferson Airplane.  Un omaggio a Lewis Carrol e alla libertà. una canzone con un testo visionario, da LSD. Vi leggo la traduzione. Una pillola ti fa diventare più grande,  e una pillola ti rimpicciolisce E quelle che ti dà tua madre,  non servono a niente. Prova a chiederlo ad Alice,  quando è alta tre metri. E se tu vai a caccia di conigli,  e ti accorgi che stai per cadere dì loro che un bruco che fuma il narghilè  ti ha mandato a chiamare. E chiama Alice,  quando è proprio piccola. Quando gli uomini sulla scacchiera si alzano e ti dicono dove devi andare. E tu hai appena preso qualche specie di fungo, e la tua mente sta affondando. Prova a chiedere ad Alice, penso che lei saprà la risposta. Quando la logica e le proporzioni delle cose sono cadute morte al suolo. E il cavaliere bianco sta parlando all’incontrario E la regina di cuori ha perso la sua testa Ricorda quello che aveva detto il ghiro: Alimenta la tua mente, alimenta la tua mente

Composta da Grace Slick

White Rabbit racconta la storia di Alice che diventa altissima – espande la mente – e più piccola – senza potere – e che immagina e incontra ogni sorta di creature magiche. Naturalmente – come accadde a Lucy in the Sky with Diamonds dei Beatles – la canzone fu interpretata come la descrizione di un “viaggio” sotto LSD, con ovvi riferimenti a pillole e funghi allucinogeni. Ma la canzone può anche essere vista come una allegoria della generazione persa dei giovani americani durante la guerra del Vietnam. Alcuni andarono a “cacciare conigli”, altri decisero di seguire il richiamo del “bruco che fuma il narghilè” e protestarono, disertarono, bruciarono le cartoline di leva. Questa canzone fu un grido di battaglia della controcultura che tanto fece contro la guerra.” White Rabbit” è un appello a risvegliarsi, che infatti venne accolto.White Rabbit è una canzone di libertà, una chiamata alla mobilitazione per superare l’ordine patriarcale del tempo, per fare ingresso nel mondo della creatività e della conoscenza. Il messaggio finale, nelle parole del Ghiro, è “alimenta la tua mente”, acquisisci consapevolezza.

Bianco n.5 Vivian Maier

Quinto cortocircuito. Che ci lega al Bianconiglio c’è una foto, molto bella scattata da Vivian Maier.  Una foto di conigli bianchi su di un balcone. Vivian Maier aveva occhi dappertutto. E questa foto non se la lascia proprio sfuggire. Che fa partire una serie legata al bianco e alla neve. Ecco queso era il mio Bianco, tutto quello che ci avrebbe potuto abbacinare, quello che ci avrebbe obbligato a mettere gli occhiali da sole. I bianchi a volte in fotografia sono i bruciati, quello che ci obbliga ad eliminare una foto, che c ifa dire mannaggia se stavo più attento: la troppa luce. Invece si sono limitati, la abbiamo controllata l’eccedenza di luce. E ci siamo fatti accompagnare da loro.

 

Vivian Maier, l’altra

Vivian Maier, l’altra. Un tesoro con cui si fanno i viaggi nel tempo. Lei è un esempio della forza della fotografia.

Lei sa entrare in contatto, non cerca mai lo scandalo fine a se stesso, ci dice qui c’è il mondo, così va. Scatta e va via. Lei la fotografa di strada. La fotografa nella strada.

Vivian Maier è un tesoro che si svela ai nostri occhi, una ricchezza che ci viene donata.

Un salto nel tempo. Una fortuna ridare una vita a momenti di quaranta, cinquanta, sessanta, sett’antanni fa.

Possiamo vedere che la forza di una fotografia arriva ancora a noi, quasi non ci accorgiamo che i vestiti, le auto, le acconciature sono di sessant’anni fa. Quello che ci arriva è l’attenzione verso le persone, il catturare la loro essenza di povero, blaguer, poliziotto di donna imbellettata o operaia in difficoltà. Sono attuali e puntano all’essenza, sono degli archetipi ancora validi.

Vivian Maier sa smascherare con sapienza. Sa entrare in contatto, non cerca mai lo scandalo fine a se stesso, ci dice qui c’è il mondo, così va. 

E guardare le sue foto è come stare in un film, di quelli belli, forti, che ti prendono.

C’è un fotogramma che ci arriva, e il più delle volte, anzi sempre, (le sue foto non erano dieci, venti allo stesso soggetto ma una e una sola) sempre ci racconta tutto. Ma ci racconta con un prima e un dopo. Prendetene una caso delle sue foto. E ci renderemo conto che scattano domande, dopo poco. Chi era quella persona, perché si è fatta fotografare? Veramente da dove veniva, perché era lì. A che cosa stava pensando mentre Vivian Maier le scattava quella foto? Era felice, triste? E’ come se ci fosse già un dialogo nelle sue foto, come appunti di un discorso. Queste due donne si sono agghindate, una ha aspettato l’altra, poi sono uscite, per andare dove, a un incontro benefico? A fare shopping, al cinema? E tu sei lì con loro, sei in quei marciapiedi, affacciato a quelle finestre, tu passeggi e ammiri quella diversità estrema e contemporanea.

Possiamo vedere che la forza di una fotografia arriva ancora a noi, nonostante si sia sempre nascosta, abbia celato le sue foto. Su di lei è stato costruito un mito, senza badare a leggerezze, trucchi per renderla un fenomeno tralasciando di considerarla come una fotografa, una donna. Bisognerebbe catalogare le sue foto, fin dall’inizio disperse senza criterio, e darle il riconoscimento di un’opera di una grande donna con una sensibilità elevatissima. In questo video cerchiamo di liberare la persona dal personaggio, un piccolo tassello per permettere di essere considerata pienamente una fotografa. Come poco alla vota sta succedendo. Precisazioni e una visione un poco diversa di lei.

Dopo quattro anni di tournée che hanno portato “Gli occhi di Vivian Maier – I’m a camera” nei teatri italiani, francesi e svizzeri, un libro, due installazioni con le sue foto originali, sempre in collaborazione Caterina Cavallari, un nuovo video per spingere avanti il suo valore.

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Get Back I Beatles e il lavorare in gruppo

Mi sto felicemente perdendo nel documentario sull’ultimo disco dei Beatles. Un manuale perfetto per creare capolavori. Get Back per lavorare in gruppo. E ci sto trovando tante similitudini con il processo creativo che stiamo facendo da quarant’anni con la Banda Osiris. Sincerità, lavoro duro, intenso e concentrato. Un’artigianalità paziente. Quanto vorrei potesse succedere a tutti quelli che lavorano in gruppo. Come un gioco che gioiosamente si ripete. Isn’y it a pity? Parlare dei Beatles non è facile. Tutti li abbiamo ascoltati gustati suonati. Ricchi, complessi. Difficili da suonare, sempre in loro c’è una sorpresa un accordo che non ti aspetti Quello che mi ha sempre stupito e mi stupisce ancora sono la quantità innumerevole di fotografie, belle, sono tutte belle le foto dei Beatles, una piû di quell’altra, e sempre diverse. Hanno sempre capito che la comunicazione di se stessi al di fuori del prodotto principale (il fare musica) è la differenza. E farlo con gioia, essendo se stessi, mettendo in gioco se stessi, scoprendo sempre qualcosa di nuovo di se stessi. Coinvolgendosi fino al midollo. È un caso che anche il gruppo di cui faccio parte sia di quattro persone che amano sconvolgere la musica, crearsi situazioni fotografiche sempre nuove, e lavorare insieme sempre come un vero collettivo. Anche se in una dimensione infinitesimale. E le modalità creative gestionali sono comuni. Vi parleró di tutto questo tra poco. Get back i beatles e il lavorare in gruppo.

Scarabocchi

Un manuale per migliorare le fotografie e uscire dagli schemi quindi gli scarabocchi per quando la fotografia non basta più. Vi parlo di gente che pasticcia le foto, lascia dei segni, le altera, insomma persone che le foto da sole non gli bastano più. E vuole dare più potere ai suoi scatti. Chi ci scrive sopra. Chi le commenta. Chi le deforma. E’ un bene la contaminazione? Aiuta, aumenta il significato? Dallo scrivere, annotare i luoghi, le date sul retro delle fotografie fino a farle commentare dai diretti soggetti, alterare le prospettive, intervenire sui profili, renderli liquefatti. Racconto di 5 fotografi che ci parlano di questo. Bisogna sempre avere il coraggio di sconvolgere, deturpare, modificare, aggiungere, specificare. Le fotografie sono un poco come i sentimenti, ci vuole coraggio per prenderne le distanze.

Estati

Omaggio alle Estati. La più bella tra le stagioni. Un viaggio tra le fotografie guidato dai fatti della mia settimana. Tutte le estati si mescolano e diventano la sola estate della nostra vita.

Cesare Pavese, Mario Giacomelli, Nino Migliori, dunque sempre tra letteratura e fotografia ed esperienza personale un viaggio trasversale tra le  mie estati e quelle tra le generazioni. Come a narrare le età delle estati, con quel gusto unico delle infinite possibilità delle nostre estati  fondamentali.

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