Le fotografie sono finestre

La finestra che ha dato inizio alla creazione del mio spettacolo su Vivian Maier è stata quella di intrufolarmi in una sua foto, l’ho abitata, incredibile sacrilegio. Da lì è stato un continuo ragionare sulla fotografia come finestra, una finestra portatile. Guardare, curiosare, analizzare. Le finestre di Jean Loup Sieff, Rodney Smith, Shizuka Yokomizo, Giorgio Barriera, Michael Wolff, Keichii Tahara e Vivian Maier, oltre alle mie, ci accompagnano in questo viaggio. Usare le finestre per guardare fuori oppure lasciare entrare dalle finestre: il mondo, i suoni , la luce. Lasciarsi guardare e guardare attraverso, questa l’altalena del nuovo video.

Bentrovate e bentrovati. Il titolo di oggi apre e forse anche chiude. A cosa servono le finestre? 

Prima finestra, la mia. Grazie alla pioggia e al restare in casa.

Ecco la foto che ha dato inizio alla mia ricerca. Ci sono foto che non puoi fare a meno di scattare. Telefonino e via. 

La finestra che ha dato inizio alla creazione del mio spettacolo su Vivian Maier è stata quella di intrufolarmi in una sua foto, l’ho abitata, incredibile sacrilegio. Vi faccio vedere.

“Da qui controllo tutto, vedo tutto, l’edicola è un osservatorio, è la mia finestra sul mondo. Qui vendo il mondo mentre loro osservo.”

Questa è la mia idea di fotografia: c’è tutto quanto, tutto quello che penso sulla fotografia: è una tendina che si apre, questo succede anche nelle macchine fotografiche. Una tendina che si alza e fa passare la luce. Si alza il sipario, si va in scena! Ci si apre alla luce per una manciata di centesimi di secondo. E fuori ci sono io che guardo il mondo. La fotografia è una grande finestra. In più ha il vantaggio di essere mobile, possiamo portarcela dietro, possiamo decidere cosa farci entrare e che cosa lasciare fuori. 

Succede sempre che quando vado nelle case sconosciute di amici oppure di conoscenti, alle feste, quando entro in un ufficio, la prima cosa che faccio è affacciarmi alla finestra. Non so perché però guardare, curiosare, scoprire un punto di vista che non sia il mio solito mi affascina. 

Il primo ricordo di questa sensazione fu quando andai dal mio amico che abitava al piano di sotto.  Ero piccolo, avrò avuto 6, 7 anni, lui abitava esattamente sotto di noi.  Mi affacciai e dalla sua finestra vedevo un’altra cosa, un’altra città, un  altro mondo. La posizione era la stessa ma alcuni dettagli non c’erano più, altri erano più marcati come se ci fosse stata una distorsione.

Ho fatto un viaggio in america. E’ quello che vi ho appena raccontato. Entrato in hotel, affacciato alla finestra e scattato. Immediatamente. E’ poi è diventata il manifesto di una mostra, si intitolava “Paesaggi parziali”. Essere parziale, con la mia fotografia non posso essere assolutamente oggettivo ed imparziale. 

Quello che da fuori arriva dentro. Luce, libertà. Altri suoni, silenzi. Vi farò vedere non tanto quello che dalle finestre si vede, si spia, ma quello che entra dalle finestre. Luce il più delle volte. Perché le finestre non sono fatte solo per guardare fuori ma sono fatte perché qualcosa entri. Il mondo per esempio, l’aria, la luce, i suoni.

Senza francobollo 15 – La dispensa nella foresta

Ciao a tutte e tutti.

Bentrovate bentrovati alla blogletter settimanale di Roberto Carlone. Senza francobollo numero 15. Venerdì 28 ottobre 2022.

Questa blogletter la trovate in versione normale su Substack o qui, in versione video su YouTube, su Facebook, in versione audio sul podcast. Se non siete ancora iscritti vi consiglio vivamente di farlo in modo da riceverla nella vostra casella di posta elettronica ogni settimana.

Passeggiata nella foresta con il pretesto del foliage, e quale pretesto. Una giornata intera nel Parco Nazionale delle foreste Casentinesi Monte Falterona e Campigna. Da prato alla Penna al rifugio di Fangacci. Vi porto un poco con me in questa meraviglia della natura.

Dicono sia un tratto tra i più belli da percorrere a fine ottobre. Uno va a fare una passeggiata e fa scorta di ossigeno, viste, fotografie, speranza e poi le mette tutte in dispensa per i giorni bui a venire. Si riconnette con il mondo, con se stesso, capisce e si immerge nella vastità e nel mistero più profondo.

Oltre che a mantenere il corpo in movimento perfetto allineandosi con il ritmo dettato dal terreno salite e discese incluse.

Lo dice David Le Breton nel sui libro “Camminare. Elogio dei sentieri e della lentezza

“Il camminatore può far cadere le sue eventuali maschere, perché sui sentieri nessuno si aspetta che interpreti un personaggio. E’ anonimo, senza altro impegno oltre a quello di vivere l’istante che viene, di cui lui stesso decide la natura. Il cammino è un esperienza provvisoria di assenza di gravità delle esigenze della vita collettiva”.

Uh! Devo dire che al ritorno il tratto in salita bello ripido ha attivato tutta la forza di gravità, altro che assenza. Per fortuna che avevo due macchina fotografiche che mi “obbligavano” a piacevoli soste per ascoltare ed immergersi e in quella solennità silenziosa, per capire i giochi di luce, i colori imperanti, le sfumature sottili per restituirle in fotografie dopo averle fatte passare al vaglio dell’artista che si risveglia inevitabilmente in noi. Scatti meditati, scelti. La bellezza del scegliere. E scegliere quello che più ci tocca, quello che ci suggerisce un tronco o un mucchietto di foglie.

E fare lo slalom tra i tronchi con lo sguardo che cerca un orizzonte, oppure lo slancio verso i cieli.

 E scattare anche in bianco e nero per cercare segni, disegni, forme, linee, intrecci. Leggerezze.

Non solo un alfabeto da decifrare ma un romanzo o una sinfonia.

La natura vince e pensando a quei luoghi adesso sapere che sono lì soli, soli nella luce o nella notte, vivi e fermi, monumenti. Qull’albero che mi si è offerto allo sguardo, quel muschio o la miriade di funghi, sono adesso là a parlare al mondo, a essere a diffondere confusione e bellezza, trasformazione in una festa i colori che dura pochi 


Questa settimana ho pubblicato “Una caffettiera nell’universo

sul Canale YouTube, pare sia piaciuto moltissimo ha fatto il record di visualizzazioni da quando ho cominciato a pubblicare.

Cosa ci sta a fare una caffettiera nell’universo? Ecco sono partito dalla canzone dei Beatles “Across The Universe” e ho giocato con piccolo nuovi esperimenti visuali, gravità quantistica e sanscrito. L’esperimento è stato inserire un frammento di un immagine creata on l’Intelligenza Artificiale, un pianeta rosso rotolante nel nero. L’intelligenza artificiale ci permette delle cose, ci fa risparmiare tempo e se la si riesce a domare per i nostri desideri e necessità è di grande aiuto, diciamo che è una mano in più per questo autarchia-autismo, prolunga di noi stessi per espandere i propri limiti e creare in autonomia. Ho anche suonato tanto, più del solito, sto cominciando a prendere confidenza anche con questa parte, e mi diverto perdendomi in improvvisazioni lunghissime che fortunatamente taglio. I capitoli in cui è suddiviso il video parlano della storia, della canzone, dell’universo e si chiudono con la domanda, quella con la D maiuscola. Niente spoiler, andate a guardare il video, appena finito di gustarvi questa newsletter.


Domenica passata sono stato a FotoAntiquaria, una mostra mercato scambio di macchine fotografie d’epoca. E non ho resistito e mi sono preso un gioiellino. Una Rollei 35 TE. Una macchina fotografica a pellicola che è un gioiellino. Anno di nascita 1961. Corredata con il top della tecnica e della meccanica, che tuttora è ineguagliabile. Microscopica. Praticamente una macchina costruita intorno alla pellicola 35 mm. La usavano Stanley Kubrik, Andy Warhol, Kurt Diemberger, Luke Wilson nel film di Wes Anderson e la Regina Elisabetta che la portava sempre con sé nei suoi viaggi.

 

Per chi fosse incuriosito vi lascio un link di un bellissimo articolo di Stampa Analogica


Per il futuro vi dico che sto girando per le città di notte che sto preparando un nuovo video con un tema urbano. Tinte forti e bianco e nero strong. E poi che sta per arrivare un evento live, uno dei miei spettacoli on line, la data prevista sarà con due repliche nella settimana centrale di Novembre.


Dalla prossima newsletter cambierà il server di sostegno della blogletter e ci sarà la migrazione verso Substack, una piattaforma formidabile di notizie, quindi cambio di impaginazione e una interfaccia un poco più social e aperta. Mi sa che farò un test in beta già con questa. Se volete dare un occhiata c’è il link in descrizione XXXX


LA musica la musica la musica che vi consiglio questa settimana sono i The Cure con “A Forest”

Vieni più vicino e guarda, guarda dentro gli alberi, trova la ragazza, mentre puoi vieni più vicino e guarda, guarda nell’oscurità, segui i tuoi occhi, segui i tuoi occhi

Vi saluto e vi lascio un bacio,

Ciao

Come potete aiutare il mio progetto a crescere? Condividendo questa newsletter con le vostre amiche e i vostri amici, oppure iscrivervi al Canale YouTube, oppure contribuendo con una donazione su Tipeee la piattaforma per i creatori di contenuti che si basa su libere donazioni. Sandra R. questa settimana ha contribuito con una splendida donazione, grazie Sandra!

Diretta Autunno 2022

Novità Autunno 2022

Il lancio ufficiale di SOSTIENI ROBERTO

Vi aspetto Giovedì alle 21,15 per presentarvi le novità per questo autunno 2022. Dopo i 500 iscritti sul Canale YouTube (525 ormai) parleremo della tribùche siamo diventati e festeggeremo il lancio ufficiale della piattaforma Tipeee per essere insieme, sempre più vicini restando liberi, permettendo la diffusione di un internet leggero, gentile e profondo.
E poi la nuova stagione di teatro-casa, la Community e i nuovi video.
E risponderò alle vostre domande, proposte, richieste, curiosità.

Per vederla insieme questo è il link quindi clicca qui

Senza francobollo #10 Sentirsi accolti, camerini e Lisetta Carmi

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Sentirsi accolti, camerini e Lisetta Carmi

 

Questa è “Senza francobollo” la newsletter settimanale di Roberto Carlone
(la trovi anche in video e in podcast)

Settimana all’insegna dell’accoglienza che è il comune denominatore e quello di cui vi voglio raccontare.

Ho un ricordo bellissimo della Sardegna. Tiri due diagonali e Meana Sardo è lì nel centro. Siamo nel teatro. Che è praticamente un salone, palco piccolo, il sipario è un collage multiforme di vecchie tappezzerie di poltrone, divani cucite insieme. Alla fine dello spettacolo si chiude il sipario e poi si riapre e non c’è più nessuno! Di solito nei posti piccoli resta sempre qualcuno, scambi poi due chiacchiere, ti saluti. Qui niente. La sala vuota. Dopo due minuti il teatro si riempie, tutti, ognuno, ritorna con qualcosa, chi con una caffè, chi con una birra, una torta. Erano andati a casa a prendere un regalo per noi. Un vero scambio, il ringraziamento più di tutta la nostra carriera. Bellissimo.

Lunedì scorso siamo stati invitati ad Asciano Suono Festival. Asciano piccolo paese nella luce giusta della Toscana, quel paesaggio da cartolina, la strada è un paradiso, un dipinto, un dono. Direttore artistico Cesare Picco, un pianista dell'anima, che crea insieme a Monica Malvasi questa nuova rassegna. I camerini sono molto lontani dal palco. La signora Concetta abita a fianco del palco e ci propone di cambiarci nella sua rimessa. C'è di tutto lì dentro, ma può andare più che bene.
Pausa aperitivo prima dello spettacolo.
Ritorniamo e ci avviamo ai camerini.
Un tappeto al centro, sedie, asciugamani. Uno specchio grande. Lenzuoli profumati e stirati a coprire le cose private, Un comò con una pizza, su un tavolino vino, schiacciata e un'orchidea. Il più bel camerino di tutta la vita. Uno spazio trasformato, impreziosito, arricchito. Un colpo al cuore. Ti senti voluto, accettato, rispettato sulla fiducia. Una tenda nel deserto. Questo è il motivo per cui ho deciso di fare teatro, andare incontro alle persone. Questo il più bel gesto: qualcuno che ti accoglie, ti aspetta e si mette a festa per te che porti musica e risate. Lo confermo il più bel camerino di sempre, improvvisato e sfarzoso.

 

Sabato spettacolo a Lecce, teatro Koreja. Una cooperativa nata a metà anni 80. Un teatro bellissimo, cresciuto poco a poco, un gusto, un attenzione in un quartiere periferico della città. Una bellissima oasi. Con una foresteria che dà sul cortile dove c’è il palco: l’ortale, erbe aromatiche piantate nelle aiuole. Persone gentilissime e ospitali, attente. La sera scende dolce e fresca dopo una nottata di piogge. E di nuovo ti senti a casa, ti senti accolto, desiderato. Casa tua, casa nostra.

Video nuovo su YouTube, ho deciso: monografia (parziale) dedicata a Lisetta Carmi. Ci ha lasciato pochi giorni fa. Vita intensa e ricca. Prima pianista, poi fotografa, poi fondatrice di un ashram. Sempre alla ricerca della verità. Audace, intensa. Cruda, caustica, diretta. Accogliente, collettiva. Una luce di grazia. Sguardo libero e delicato, il suo sguardo volto a sfidare il perbenismo. Operai, travestiti, poeti, abitanti della terra, dimenticati tutti accolti da lei.

Giovedì alle 21,30 presento in première il nuovo video prodotto. Ritmo serrato e poetico, mai retorico. Un piccolo omaggio. Da non perdere. Suono pure due brani di Bach.

Guarda la première

Arrivano le prime donazioni su Tipeee (tip come mancia seguito da tre e: Tipeee). Questo il veicolo che permette di essere liberi nella creazioni di contenuti, che mi permette di rifiutare le pubblicità e creare una tribù di fedelissimi, che potranno accedere a news esclusive, video incontri e anteprime. La prossima settimana facciamo uno zoom insieme, così ve lo presento ufficialmente. Riceverete una newsletter con tutte le modalità per partecipare, e ci augureremo una buona estate.

La musica che ha accompagnato la stesura della lettera sono stati il preludio e fuga in Do minore dal Clavicembalo ben temperato di Johann Sebastian Bach suonato da Vìkingur Òlaffson (ne parla Lisetta Carmi). E’ l’ultimo brano che ho studiato e mai completato nella mia adolescenza, la mia montagna sacra, quello che studierò. L’esecuzione di Òlaffson è sufficientemente limpida e veloce, senza romanticismi annessi, tra le migliori, per me.

E poi Cesare Picco. Alchemy:  è girato all'infinito!.

Bene un saluto e un bacio carissime e carissimi,
alla prossima,
roberto

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Senza francobollo #9 Mettere una pezza

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Mettere una pezza: Aqua, Danza e Spettacoli


Senza francobollo la newsletter settimanale di Roberto Carlone.

Ciao a tutte e tutti.

Bentrovate e bentrovati. Qui Roberto Carlone. Venerdì 1 luglio 2022. 
Mettere una pezza: acqua, danza e spettacoli. Ovvero siccità, testamento spirituale di Rudolf Nureyev e spettacoli pericolanti. Più altre informazioni varie. La settimana appena passata, anzi ancora in corso (anche in versione solo audio, oppure video).

Settimana in cerca di frescura, come tutti del resto. E il problema siccità.
Qui ad Arezzo siamo ancora messi “bene”. La Toscana è in zona gialla con le piogge scarse che sono insufficienti a ricaricare le falde, tuttavia le situazione non è ancora ancora di grave sofferenza. Comunque non si può utilizzare l'acqua della rete idrica pubblica per scopi diversi da quelli igienici e domestici. L'acqua del rubinetto si può bere, ci si può fare la doccia e si può usare per casa. Non può essere usata per annaffiare l'orto o il giardino, per lavare l'auto, per riempire la piscina. E chi si sostiene con un orto che serve per alimentare una famiglia? Sempre situazioni di emergenza, deroghe, rattoppare, improvvisazioni. Ridurre le perdite degli acquedotti no? Sviluppare le città con attenzione ai nuovi cambiamenti climatici (che andranno a peggiorare nelle prossime estati o che al massimo resteranno in questi standard). Al solito lungimiranza, cura, progettualità a lungo termine da parte degli amministratori sono le priorità.  Cresciamo la futura generazione politica capace di dare queste risposte, concediamo spazi solo a chi cresce con questi valori, facciamo catenaccio contro gli altri, non lasciamo spazi di azione, mandiamo avanti solo chi ha chiaro il bene comune, imponiamola, richiediamola. Siamo esigenti.  e smantelliamo quella non grado di pensare al bene comune. Oltre alle nostre attenzioni personali, private, civili e quotidiane. Ad esempio cambiare i fiori nei giardini e nei balconi con alcuni che necessitano di meno acqua.

Si poteva fare un uso leggero dell’acqua quando il suo ciclo era equilibrato e continuo. Ora non lo è più, è più che evidente, e dobbiamo adeguarci, visto che tornare indietro non è più possibile. E questa non è più una posizione catastrofista, ma reale ed oggettiva.

Vi propongo un video molto interessante del prof. Telmo Pievani, che analizza la questione della calamità, l’ineluttabilità di questa situazione attuale. Smettere di pensare in termini di emergenza che non potranno funzionare.  Il link è qui di seguito: Siccità.

Il testamento Rudolf Nureyev. C’è chi invece non ha messo una pezza sulla vita ed è stato Rudolf Nureyev, il grande danzatore.
Il suo testamento spirituale è esaltante e ricco. L’ho letto per voi e trovate il video su Canale YouTube

L’invito è a guardarlo e gustarlo nella sua profondità, la scrittura è di alto livello, un testo lirico che si può adattare a qualsiasi vita, un’ispirazione potente e determinata scritta mentre stava lasciandoci devastato dalla malattia. Ci ho suonato un piccolo brano. Fatemi sapere che ne pensate nei commenti.
E non dimenticate di mettere il vostro sonore “mi piace” oppure di iscrivervi al canale per restare sempre in contatto. Non lo dico per vanità ma per contribuire a far crescere il canale, che sfiora ormai i 500 iscritti e ha superato le 14.000 visualizzazioni. Sono sempre più contento dell’attenzione e fedeltà con la quale premiate questa creatività e i miei sforzi. Grazie!

Roberto mi ha scritto: “Le parole di Nureyev danzano bene quasi quanto lui!!! Grazie Roberto.”, Cecilia aggiunge  “Roberto mi hai fatto ballare sopra le nuvole: la scrittura, la musica, la narrazione della vita!”. Mentre Eleonora  mi provoca “Tu che dici? Lo sapresti redarre un testamento spirituale?”: le ho risposto così “ E’ una risposta estremamente difficile… Diciamo che ogni spettacolo, ogni video che faccio è una piccola goccia del testamento spirituale. Per ora.”

Ma andiamo a danzare con Nureyev, cliccate sul bottone qui sotto. Dura 10 minuti e l’ho inserito nella playlist Teatro-casa.

Guarda il video

I teatri cadono, o meglio i palchi estivi collassano. La tettoia di un palco a Bassano del Grappa all’inizio della settimana e la fiancata del palco fisso di Sarzana ieri. Turni massacranti, alcuni tecnici parlano di giornate senza riposo, una corsa ad armare le piazze per spettacoli mastodontici dai costi estremi dove solo i grandi e gli ufficiali sopravvivono mandando avanti carne da macello sottopagato in nome delle sfarzosità capricciose delle produzioni.

Sembra che tutto luccichi ma intanto le fasce più creative, la vera massa che sostiene il teatro italiano viene dimenticata, le esibizioni si sono ridotte del 50% e pure i cachet. Anche su questo versante si mettono delle pezze. E in parallelo si burocratizza e diventa sempre più “star-sistem”, il teatro.

Scusate ma sono molto in crisi per questo andazzo “storto”, che sega sempre più libertà e creatività, e diciamolo diritto al lavoro. Anche qui è diventato tutto tremendamente autoreferenziale.

Ma siamo felicissimi di essere nelle piazze, di incontrare la vera voglia vitale del pubblico di divertirsi, di crescere. Non facendoci male.

A questo proposito per chi non lo avesse visto vi consiglio, per una via parallela, “Teatri e macerie” dove analizzo e parlo della distruzione dei teatri durante la guerra mondiale.

Manca una settimana al lancio ufficiale di Tipeee. (vi terrò informate e informati: mi piacerebbe fare uno zoom insieme, anche per augurarci una buona estate).

Di cosa si tratta? Cos’è Tipee? 

E’ una piattaforma europea creata per i creatori di contenuti on line per raccogliere fondi, per farsi sostenere dalle proprie community per permettere di continuare a fare quello che si fa, e di essere liberi dalla pubblicità.

Già mi seguite e vi siete affezionati, mi apprezzate e alcuni di voi sono più legati e siamo diventati, stiamo diventando una piccola tribù a cui piace un uso profondo e stimolante della rete, di internet. Non fare sponsorizzate, non fare pubblicità, non fare video di sostegno a qualche prodotto (le cosiddette “marchette”) essere liberi da vincoli. Continuare a produrre video, musiche, articoli e fumetti. Continuare a produrre contenuti pubblici continui e costanti. Non smettere di fare quello che si fa e lasciarlo accessibile a tutti. Così la community continua ad essere libera, indipendente. Un appello a donare per sostenere quello in cui crede, quello che vede.

In più si crea una nuova tribù. E anche qui restl’idea di condivisione, non di mercificazione, di promesse.

E che cosa ci trovate in Tipeee? ci trovate il dietro le quinte, contenuti esclusivi, fotografie. Incontri Zoom, dirette. E tante altre sorprese.

Ad esempio questa settimana ci sono, tra le news riservate ai sostenitori, delle musiche in esclusiva.
Prima di registrare le musiche per i video del canale, improvviso per cercare la musica giusta. Così è successo mentre preparavo la musica di intermezzo per il video del testamento spirituale di Rudolf Nureyev nella mia cantina saracina, il mio bunker creativo. A volte servono solo poche note per accompagnare le foto che presento, qualche secondo, ma queste arrivano dopo minuti e minuti di ricerca. Ecco per i sostenitori c’è questa chicca. E questo momento non lo ha visto nessuno, lo condividerò solo con coloro che mi sosterranno.

Ora parto per il Caterraduno a Pesaro. Vi lascerò qualche foto la prossima settimana.

Ciao,
un bacio,
roberto

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Teatri e macerie

Degli smarrimenti e dei sogni, quando ne restano. 

Gira su YouTube il video di un ragazzino che balla in un teatro bellissimo. Stacco, e lo stesso ragazzino balla la stessa danza tra le macerie. Sono le macerie del teatro di Mariupol. E dentro ad un teatro è stato dato l’ultimo saluto ad un immenso attore Eugenio Allegri. Fa strano parlare di morte, di addii, in un teatro dove, anche quando si mette in scena una tragedia delle più pesanti, esiste solo vita. Il palcoscenico è vita. La voce, il movimento di un attore è vita. Così come la comunione che si crea tra il pubblico e chi recita è vita. E se i teatri non ci fossero più, e se restassero solo macerie? Così è successo in Italia nel ’43. Milano città presa di mira da ingenti, devastanti bombardamenti ha perso una decina di teatri. In queste meditazioni e unioni legate al disfacimento del teatro cerchiamo una speranza, una risposta.

Il 13 maggio Gabriele Vacis regista eccelso, drammaturgo e docente posta un commento e una fotografia.

“Gira su YouTube il video di un ragazzino che balla in un teatro bellissimo. Stacco, e lo stesso ragazzino balla la stessa danza tra le macerie.  Sono le macerie del teatro di Mariupol. Stamattina, al Teatro Carignano, allestito a camera ardente per Eugenio Allegri, ho pensato che dolore sarebbe vedere il teatro Carignano in macerie come il teatro di Mariupol, e ho capito. Che qualcuno possa distruggere casa mia è un pensiero agghiacciante. Ma che si distrugga il Teatro è anche peggio, perché il teatro di una città è casa nostra, la casa di tutti. E’ sacro. E stamattina conteneva il corpo senza vita di uno dei suoi sacerdoti più amati. Lo vedevi negli occhi della gente in coda, gente di teatro ma anche spettatori, gente comune. Un sacco di gente nel nostro teatro a salutare il nostro amico Eugenio. Per un momento l’ho visto danzare, nel buio del palcoscenico vuoto, insieme a quel ragazzino nel teatro di Mariupol.”

Eugenio Allegri, il teatro di Mariupol. 

La vita che si allontana dai teatri. Eugenio Allegri che si allontana da noi.

Grandissimo attore. Anarchico sconquasso, grazia scalpitante, surreale metafisico, soffio e finimondo, parola di un teatro fisico.  Conosciuto per “Novecento” di Alessandro Baricco con la regia di Gabriele Vacis. La triade perfetta per uno spettacolo eterno. Insieme eravamo tra l’aldilà e l’aldiquà nella finzione de “L’ultimo suonatore”.

Dopo aver letto questo post mi son chiesto se mai fossero stati bombardati i teatri italiani durante la guerra mondiale. Roba di “pochi” (tra virgolette) anni fa. E vi racconto mostrandovi qualche foto. Poiché è un argomento difficile mi limiterò ad un elenco di avvenimenti e solamente legati ai teatri. Faccio una premessa rendendomi conto di mille domande che l’ultimo conflitto genera: la nostra inermità nelle libere scelte, l’essere sempre e comunque vittime ancor prima che una guerra si scateni. Sento svanire un’idea di libertà. Con la domanda di quello che succederebbe in caso di una aggressione. Io, noi. Inermi, deboli e ancora, sempre, carne da macello. Improvvisamente.

Ma iniziamo e concentriamoci su Milano e i teatri.

Americani e Inglesi avevano visioni discordanti sulla conduzione dei bombardamenti in Italia. Erano loro ad effettuarli. Gli americani erano per operazioni mirate, di giorno, più rischiose per i piloti ma fatti per colpire con maggiore precisione gli obbiettivi militari, evitando per quanto possibile vittime tra i civili. Gli inglesi spingevano per bombardamenti a tappeto, di notte, privilegiando armi incendiarie.

1943

14 e 15 febbraio colpito il teatro Lirico e diversi cinema. 133 vittime, 442 feriti, 10.000 senza tetto. Milano “ritta ma traballante”

“ Il primo giorno vidi Milano «insudiciata» dalla morte. Poi la notte calò e uno spettrale silenzio.

“Ma la vide subito laggiù la sua casa. Era ancora in piedi. Intorno montagne di macerie, mozziconi di mura maestre. La sua casa era rimasta in piedi ma senza dirselo sentì che era caduta con le altre, perché la nostra casa è fatta anche delle altre case; e se le mura, materialmente, non erano state colpite, il focolare era stato straziato. Guardò poi il ritratto del figlio, appeso alla parete. Era un po’ inclinato. Lo rimise dritto.  (Giorgio Scerbarenco)

7 e 8 agosto dopo l’arresto di Mussolini per accelerare la resa dell’Italia bombe incendiarie a Milano. Ore 0.52 suona l’allarme. 197 aerei Lancaster partono dall’Inghilterra carichi di bombe incendiarie. Distrutto il teatro dei Filodrammatici, il teatro Garibaldi. Gli spezzoni incendiati del Corriere della sera sfondano il teatro alla Scala. In tutto 600 edifici distrutti. 161 morti, 281 feriti. L’obbiettivo era distruggere la città entro un mese.

Arrivò a Milano, discese in piazzale Loreto e continuò a piedi attraversando tutta la città. Le case bruciavano, fumo, polvere, soldati, quelli dell’Unpa col bracciale rosso, un vecchio teneva in mano la catena della sua bicicletta e la guardava, stupito che si fosse rotta proprio quando più ne aveva bisogno. Vezzari arrivò a fatica nei paraggi di casa sua. Quasi non si orientava più. I crolli e gli sventramenti avevano cambiato la fisionomia del paesaggio. Ma la vide subito, laggiù, la sua casa: era ancora in piedi. Intorno montagne di macerie, mozziconi di mura maestre.”  (Giorgio Scerbarenco)

12 e 13 agosto

321 Lancaster e 183 Halifax partono per la “tempesta di fuoco”.  La città brucia per vari giorni.

“Invano cerchi tra la polvere,
povera mano, la città è morta.
È morta: s’è udito l’ultimo rombo
sul cuore del Naviglio. E l’usignolo
è caduto dall’antenna, alta sul convento,
dove cantava prima del tramonto.” (Salvatore Quasimodo)

14 e 15 agosto

140 Lancaster partono per terminare il lavoro. Alle 0.32 suona l’allarme. Un’ora di bombardamenti. Distrutto il teatro Dal Verme e il teatro Verdi. Gli alleati non ritengono sufficienti i danni.

15 e 16 agosto.

Dalle 0.31 alle 2.22 bombardamenti. Viene colpito il teatro alla Scala. Distrutta la volta, il proscenio, l’arco scenico, i magazzini.

Con Eugenio Allegri nello spettacolo che si fece insieme per due stagioni eravamo anime perse in una sorta di teatro-circo-tenda sperduti, anime, angeli o ex angeli in clima di guerra, era il periodo della guerra del Golfo, echeggiavano musiche di Kurt Weill, i testi erano quelli non proprio graditi al nazismo di Karl Valentin maestro di Brecht. Ed Eugenio recitava, quasi cantando, “Il disertore” di Boris Vian.

In piena facoltà, Egregio Presidente, le scrivo la presente, che spero leggerà. La cartolina qui mi dice terra terra di andare a far la guerra quest’altro lunedì. Ma io non sono qui, Egregio Presidente, per ammazzar la gente più o meno come me.

Io non ce l’ho con Lei, sia detto per inciso, ma sento che ho deciso e che diserterò.  Ho avuto solo guai da quando sono nato e i figli che ho allevato han pianto insieme a me. Mia mamma e mio papà ormai son sotto terra e a loro della guerra non gliene fregherà. Quand’ero in prigionia qualcuno m’ha rubato mia moglie e il mio passato, la mia migliore età. Domani mi alzerò e chiuderò la porta sulla stagione morta e mi incamminerò.

Vivrò di carità sulle strade di Spagna, di Francia e di Bretagna e a tutti griderò di non partire più e di non obbedire per andare a morire per non importa chi.

Per cui se servirà del sangue ad ogni costo, andate a dare il vostro, se vi divertirà. E dica pure ai suoi, se vengono a cercarmi, che possono spararmi, io armi non ne ho.”

Eugenio ci lascia.

I teatri vengono di nuovo bombardati.

E’ sempre più difficile sognare un futuro, intorno veramente c’è un vuoto.

Questa volta vi ho proposto una grande doppia tragedia.  Come speranza e consolazione ho che il teatro alla Scala è stato ricostruito, così il Dal Verme, il Verdi, i Filodrammatici.  Eugenio ce lo porteremo dentro e ad ogni apertura di sipario onoreremo la sua arte che sempre ci ha fatto sorprendere, sempre è stato fatto di movimento e sudore. Continueremo danzare inarrestabilmente nei teatri vuoti anche se il buio sta avanzando un pochino di più.

Se l’articolo e il video sono stati di vostro gradimento vi invito cordialmente a mettere un sonoro mi piace. Se volete restare in contatto iscrivetevi al canale se volete fare ancora di più allora proponetelo alle vostre amiche e ai vostri amici. Ve ne sarò grato, questo è il modo per far crescere la nostra piccola ma splendida comunità. Vi ringrazio ancora tantissimo, vi ricordo anche di iscrivervi alla newsletter. Lì potrete essere informati ogni settimana sulle novità sui miei pensieri e tutto quello che non possianmo mettere su YouTube. Vi ringrazio veramente tantissimo, un bacio e alla prossima. 

Il tempo e le biciclette.

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Il tempo e le biciclette

 

Come due realtà distanti parlano tra di loro. 

Ciao a tutte e tutti. 
Bentrovate e bentrovati alla newsletter settimanale di Roberto Carlone. Venerdì 29 aprile 2022.

Continua l’esperimento della newsletter in versioni audio (che potete ascoltare su Spreaker), video (che potete vedere su YouTube e Facebook), e naturalmente in versione mail che potete leggere su robertocarlone.it alla pagina newsletter. Iscrivetevi qui, riceverete anche un piccolo saluto con una breve storia in esclusiva ed ogni settimana arriverà nella vostra casella di posta elettronica. 

Biciclette.
Donne, uomini, bambini, cadute e libertà. Ci si stacca da chi ci ha tenuto il sellino e si va, soli, scegliendo il tempo e la meta, oppure senza meta o con un compito importante, un messaggio da consegnare, un cuore da conquistare. Quante storie che ci parlano e cantano di donne staffette partigiane, uomini-leggende, di un’umanità. Storie che cavalcano altre storie per attraversare straordinarie avventure fino a diventare miti e leggenda.

Una discesa senza freni che difendono dall’impatto. Pronti a ripartire se qualcuno spinge sui pedali. 

Pedalare è un ritmo, per spostarsi. Pedalare per andare avanti sorprendendocisi a pensare che potrebbe essere possibile pedalare al contrario e con questo movimento andare indietro nel tempo. La pedalata è come un metronomo ed è per questo che si sposa con la musica. La bicicletta è uno spostamento in silenzio e senza traccia visibile. Riservata, e veloce, trasparente. Quando passano sembrano solo movimenti dell’aria. E durano un niente. Però sanno sollevare un polverone solitario che colora l’aria di sogni. Mi ricordo che da bambino più volte vidi passare il Giro d’italia. Un ‘attesa infinita e poi un macinare di pedali e in meno di un minuto tutti erano passati. Volatilizzati. Tutto finito. Con una sensazione di non essere stati adeguati a cogliere un colore, una maglia rosa. Tutto finito.
Silenzio.
Almeno la vita sembra che ci conceda una seconda possibilità, ma non è vero, le occasioni si devono prendere al volo, non lasciarle sfuggire, forse dura un pochino di più del passaggio di un centinaio di corridori, massimo una giornata, una notte insonne. E suona anche un campanello. Poi si dirà a posteriori che non siamo riusciti a prendere un treno, ma un treno dura un niente, una decisione dura un poco di più, e resterà solo il flash del momento in cui prenderemo una decisione.

Questo ragionamento nasce mentre stavo scrivendo la presentazione per lo spettacolo che presenteremo con  la Banda Osiris in occasione della tappa del giro d’Italia che si fermerà a Reggio Emilia. Un evento speciale il 6 maggio insieme a Masimo Cirri , Alessandro D’ALessandro e Marco Pastonesi.

Il tempo.

Il tempo passa viene da dire, ce lo ripetono sempre, lo diciamo spesso anche noi. Ma è un errore! Come se fosse un alluvione in piena, qualcosa che si trascina via storie, oggetti, sensazioni.
Ero fermo al semaforo e aspettavo di attraversare, niente auto, niente altri pedoni, solo un placido confortevole sole.
Il tempo passa, quanto ce ne resta, cosa fare per non sprecarlo. Il tempo vola.
Tempus fugit.
Ma no! Siamo noi che siamo nel tempo e corriamo con lui, siamo sulla sua bicicletta e percorriamo uno spazio, noi siamo il tempo, noi siamo con il tempo, noi lo cavalchiamo e dentro questo tempo ci muoviamo. Lo abitiamo il tempo, siamo agganciati a lui. Il tempo passerà quando non ci saremo più. Il tempo passava quando non c’eravamo ancora. Siamo ospiti del tempo, amici in alcuni casi, nemici in altri. Ma siamo con lui.
Il tempo non passa, scorre e per una porzione breve siamo con lui. Noi non dobbiamo allontanarci da lui.

Nella settimana
 

25 aprile solo una foto, niente commenti.

IERI sono stato a Firenze a vedere un spettacolo. Matteo Fantoni. Il silenzio.
Ci racconta con delicatezza, gioco, onestà e competenza la sua esperienza di liutaio. E’ giovane e una voce diversa in questo teatro indipendente che in Italia viene soffocato sempre di più. Ci parla di artigianalità e morte, di colle e legni, di abilità e attesa. Un silenzio che pullula di domande. Alla fine scopre un violoncello e ci suona un brevissimo brano che dà i brividi.

Ed era al teatro di Rifredi un teatro che ha condiviso i nostri primi passi intorno agli anni ’90. Un vero teatro indipendente, con una direzione precisa e forte, un identità che non si è mai piegata alle mode comuni. E’ stata un’emozione fortissima entrare in quel teatro da cui mancavo forse da trent’anni.

Alberi, il nuovo video del Canale YouTube è salpato per navigare nella rete martedì scorso. Gli avete tributato un bel successo. Alberi in fotografia, un rifugio da cui non scendere mai. Racconto un piccolo estratto dal Barone rampante di Italo Calvino e incontro 9 fotografi che raccontano gli alberi ognuno a modo suo. Il bottone arancione è per vederlo seduta stante se ve lo foste perso. 18 minuti di poesia per un viaggio in una foresta senza confini. (Il canale intanto cresce siamo ormai 400. Iscriviti per sostenerlo: è gratuito e le storie sono molto interessanti ed uniche). Martedì prossimo invece vi porto al mare con “Mari”.

Guarda "Alberi"

Prima di salutarvi vi dico la musica che mi ha accompagnato nella stesura della lettera: "Pedala" di Frankie hinrg ma vi rimando ad una versione solo testo per concentrarvi sulle sue sapienti parole. “Devi far coincidere i pesi e i baricentri”.

Vi saluto e vi do appuntamento alla prossima settimana.

Un bacio,
roberto

P.S. quest’estate sono stato parecchio in bicicletta, facendo il ganzo alla fine di una discesa ho usato il freno davanti. Volo sul ghiaino, di faccia. Stampato, disteso. Immobile. Tutti pensano che abbia perso conoscenza. Invece mi fermo lì per assaporare quel momento vecchio di cinquant’anni. Che bello cadere dalla bici.

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Alberi, un rifugio sicuro da cui non scendere mai

Alberi in fotografia, un rifugio per ogni Barone Rampante da cui non scendere mai. Un manuale perfetto per arrivare in alto. Partiamo da Italo Calvino letto e musicato per incontrare alberi e fotografi: Ansel Adams, Beth Moon, Joel Meyerowitz, Michael Kenna, Franco Fontana, Nan Goldin, Todd Hido, Vivian Maier e Pier Paolo Pasolini. Tutti si sono espressi e ne hanno parlato con differenti punti di vista. Ne viene fuori un viaggio ricco e intenso. Ci troviamo così in una foresta di alberi provenienti da diverse parti del mondo.

Alberi

Parlare di alberi quindi stiamo in natura, siamo in primavera quindi quale stagione migliore di questa.

Le prime parole che mi vengono in mente se dico la parola alberi sono

curati, tagliati, sterminati, piantati, infiniti, slanciati abitati, onde argentee e, come gli olivi di questi tempi, creatori d’ombra per il caldo che verrà. Un rifugio per ogni barone rampante che è in noi da cui non scendere mai.

Bene oggi ho deciso che vi porterò sui miei alberi.

Quelli su cui sono salito con i miei occhi.

Alberi n. 2 i miei alberi

La prima foto che trovate è un sughero. L’ho trovato nel parco dell’Uccellina passeggiando due anni fa.

Ci eravamo fortunatamente permessi un mese di vacanze e tutte le mattine per scendere in bicicletta o a piedi verso le spiagge lo incontravamo. Grande maestoso e fiero.

Così grande che non ci stava dentro all’ obiettivo. 

E quest’idea di farlo uscire dall’inquadratura mi è parsa molto bella mi pare che spieghi e descriva la sua grandezza. Sapere che qualcosa va al di fuori dell’inquadratura la spinge oltre. 

La seconda foto invece l’ho scattata, pochi giorni prima della prima quarantena  alla pieve di Romena. Un posto magico. Vi consiglio di andarci non appena lo potrete fare. È un posto particolare. Molto forte. Che sprigiona un’energia, qualche cosa di veramente speciale, poi in primavera dove tutta la natura si risveglia è ancor più forte. C’era un temporale minaccioso che stava arrivando, difatti forse l’accento è più sulle nuvole, sul nero. Ma questo l’ho fatto per rendere più grande il contrasto con le foglie.

Leggere. Fragili. Indifese, ma di una bellezza sfolgorante 

Quasi un presagio di quello che la nostra paura indicava come un rovescio violento che forse ci avrebbe privato della loro bellezza.

La terza invece è tratta da “Fotografie da appartamento” una serie di foto che ho scattato durante la quarantena della primavera scorsa. E’ l’albero che è di fronte a me a casa mia che negli ultimi anni ha raddoppiato la sua imponenza per fortuna che ce lo abbiamo di fronte; ero bloccato in casa e per sfuggire alla disperazione, mi svegliavo prestissimo la mattina così mi sono inventato di fotografare quello che stava di fronte a me e dentro casa mia. E’ stato un percorso a cercare il posto giusto delle cose che non guardavo più con l’attenzione che avevo dedicato loro per sistemarle in quegli esatti spazi come a cercare l’anima degli oggetti, delle cose, delle stanze dei respiri dentro a casa mia. 

Qui c’è un leggero mosso delle foglie. Volevo comunicare il vento, il movimento. Ne ho fatto uno spettacolo on line di queste fotografie.

Alberi n. 3 Ansel Adams

E’ buffo, vero? Simpatico, con uno sguardo penetrante, indagatore. Dietro di lui Imogen Cunningham.

Ansel Adams è ricordato per il sistema zonale. Ma io voglio parlarvi di lui in quanto fotografo e artista. Mi interessa quello che c’è di istintivo sulle sue fotografie così studiate accurate. Il suo accento andava sul restituire la veridicità la precisione la giusta luce per ogni singola sfumatura

Qui lo vedete come andava in giro. Un pioniere imponente nella fotografia.

La prima foto.

Neve.

Leggerezza, queste nuvole che sembrano cascate, oppure raggi di luce che scendono dalle montagne. Yosemite Park. Ci sono stato. Non puoi fare a meno di fotografarla L’Half Dome.

Betulle.

Luce  che illumina solo i tronchi e i piccoli rami leggeri, gli dà ancor più vita su quello sfondo scuro, che le mette ulteriormente in risalto.

Stesso sistema Stesso trucco Stessa magia e incanto della natura

Non è un caso

Quanto conosceva quel luogo per poter catturare quel momento

Attese, ricognizioni, attenzione per la natura.

Che è sempre al primo posto in tutta la sua produzione.

Alberi n. 4 Beth Moon

Una donna fotografa. Forse un poco meno conosciuta. Ne dà una definizione meravigliosa una frase di Erri de Luca

Un albero ascolta comete, 

pianeti, 

ammassi e sciami. 

Sente le tempeste sul sole 

e le cicale addosso 

con la stessa premura di vegliare. 

Un albero è alleanza tra il vicino e il perfetto lontano”

Beth Moon. Eccola. 

Ha passato quattordici anni a fotografare i più antichi alberi sulla terra. SudAfrica, Botswana e Namibia.

“Il nostro rapporto con la natura selvaggia ha sempre giocato un ruolo importantissimo per il mio lavoro. Questa serie è stata ispirata da due affascinati studi sicientifici che connettono la crescita degli alberi 

con i movimenti celesti e i cicli astrali.

Il primo studio conclude che le radiazioni cosmiche hanno un impatto sulla crescita degli alberi tanto quanto le temperature 

o le pioggie annuali, la seconda che la stazza degli alberi 

e la forma è direttamente correlata alla luna e ai pianeti.

Mi spaventa la precisione è formidabile quel cielo sopra che slancia ancora di più le piante baobab. In queste foto il tempo di esposizione è stato di 30 secondi di notte per catturare il movimento delle stelle. Il titolo delle foto è dato dalla costellazione che è dietro di lei. E non si può altro che fare silenzio, sentirlo, perdersi.

Oppure mi fa sentire proprio nell’angolo più estremo della terra, proprio affacciato sull’universo.

Alberi n. 5 Michael Kenna

E’ conosciuto per le sue fotografie in condizioni estreme di illuminazione. Il risultato sono immagini bellissime. Eteree. Oniriche dove mai compare direttamente l’uomo 

Neve anche lui per fare un confronto con Adams

Affascinato dal Giappone, dalla poesia haiku. A me ricorda le mie zone della bassa del vercellese, come se lo conoscessi, anche se ha fotografato soprattutto tra la zona di Parma e Reggio. Tempi di esposizione anche di 10 ore per le sue foto. Si sente tanta umidità. Aria rarefatta

Nebbie.

A volte veloce. Come quello di un treno. O un leggero vento che agita appena le foglie

I rami

Si sente il tempo che passa

Lo spazio che attraversa 

un movimento. O l’immobilità .Quasi come se si fosse noi un ramo che osserva il fluire del fiume

Del tempo

… il sempre della natura…

Alberi n. 6 Franco Fontana

E adesso lasciamoci violentare dal colore. Sembrano tele, bidimensionali per uno studio fortissimo sul colore. Una ricerca maniacale tra tagli e accostamenti, incroci. Per lasciarci stupire e affascinare. Da vicinanze impensabili. E che non sembrano neanche naturali.

Alberi n. 7 Joel Meyerowitz

Cambiamo direzione verso la delicatezza. Uno dei miei autori preferiti Joel Meyerowitz. Mi sta simpatico, mi affascina la sua calma, la sua saggezza. I suoi alberi. Ricordate il mio sughero imponente? Lui lo fotografa colpito da un fulmine o distrutto dal tempo, secondo me parla ancora di una grandissima maestà di questo albero. Qua lo vediamo ancora in un intreccio sempre con la neve anche lui. Anche in Toscana ci va a volte. In tanti hanno fotografato questi raggi di sole e i cipressi. Come lui penso pochissimi. Quest’altra è una foto che sembra normale. Allora provate ad andare in Toscana io ci ho provato ad andare in Toscana a fotografare situazioni come queste, non si riesce.

Alberi n. 8 Nan Goldin

Anche lei tra le mia preferite. Si intrufola nella case nelle famiglie, vive con loro e le fotografa per una settimana intera. Condivide i momenti più intimi, le gioie, le ansie, ma partecipa è lì viva. Ha fatto anche tante foto agli alberi. Neri scuri. Oppure questi sfuocati, questo qualcosa che sta sempre lì in attesa, in attesa di qualcosa. Neri scuri, vedete, come va a cercare questi scuri, va a cercare sempre una situazione di limite dove sta cambiando qualcosa

Alberi n. 9 Todd Hido

Todd Hido, Aido, Ai do. Chissa come si dice?

Sembra di stare in auto,  insieme a lui. E guardate come scalda quella luce in fondo seppure sia una luce abbastanza fredda E’ un temporale che arriva, è forte questa foto Oppure ti manda un ricordo. Ero qua ti aspettavo ma non sei arrivata. E intanto pioveva. Per fortuna che ero in auto, chiuso qui un poco al caldo al sicuro.

Alberi n. 10 Vivian Maier

Questa è lei questa è una foto che ho usato per ben due volte nel mio spettacolo.

Francia, forse non lo sapete ma lei ha passato tutto il periodo scolare delle elementari in Francia  e poi è tornata quando aveva circa 25 anni perché la zia le aveva lasciato la loro proprietà. Felice come una bambina, allegra. Non sappiamo se è un autoscatto, se l’ha scattata qualcun altro però secondo me la descrive benissimo ed  è esattamente l’opposto di quello che ci vogliono far credere di lei lei . In  mezzo alla natura e chiara.

Questa è una foto di un albero, gli alberi riflessi sulla sulla pioggia con le gocce ci sono tante tante sfumature molte di più di quelle che  facciamo noi quando scattiamo una  foto agli alberi convinti di fare chissà che, lei  riesce a scoprire qualcosa di più vedete in fondo  anche qui c’è un confine di un’acqua che cambia in  alto vedete c’è qualcosa di particolare. In un’altra  urla l’america ma dietro ci sono  questi alberi che da una prima vista sembrano  sfocati ma poi a guardarli bene invece non sono  sfocati non si perdono nel cielo sono definiti  stagliati fanno da contorno a questa bandiera.

Italia gli alberi italiani  divisi a metà secondo me siamo al confine tra umbria e toscana . La luce meravigliosa di questi alberi , mi piace  pensarla. 

Alberi n. 12 L’ALBERO

L’albero per me più importante. Un albero che quando è uscito al cinema mi è rimasto negli occhi e nel cuore. Vi sto parlando di  Pier Paolo Pasolini l’Edipo re. La forza incredibile  della fotografia di Pier Paolo Pasolini.

E questi erano i miei alberi. Iscrivetevi al canale se vi è piaciuto questo video resteremo in contatto, saprete ogni volta che ne pubblico uno nuovo, o se volete farvene una scorpacciata a piccole dosi, questo è il metodo migliore. 

Per restare in contatto con me la newsletter settimanale è anche una cosa ancora forse ancor meglio . Iscrizioni a robertocarlone.it pagina newsletter. Tutto quello che non posso mettere su YouTube. E progetti speciali, spettacoli on line, eventi esclusivi, zoom e tanto altro.

Parlano poco gli alberi, si sa.

Passano tutta la vita meditando

e muovendo i loro rami.

È difficile riempire un piccolo libro

coi pensieri degli alberi.

Tutto in essi è vago, frammentario.

Certi alberi vicini alle case

sostano in una pace inclinata

come indicando come chiamando

noi, gli inquieti, i distratti

abitatori del mondo. Certi alberi

stanno pazientemente.

Tra alberi, fiori e una città utopica

La settimana passata e una interessante novità sperimentale.

Grandissima novità questa di oggi  infatti viene pubblicata in 3 versioni audio (che trovate su Spreaker dove), video (che trovate su YouTube e Facebook dove), e naturalmente in versione mail che potete trovare su robertocarlone.it alla pagina newsletter,. Se vi iscrivete riceverete anche un piccolo saluto con una breve storia in esclusiva ed ogni settimana arriverà nella vostra casella di posta elettronica.

Oggi piove ma niente ci fermerà. 

Di seguito la versione video.

Per il periodo pasquale sono stato ad Alvisopoli, piccolissimo borgo del veneto orientale. Una utopia settecentesca. Alvise Mocenigo decise di creare una città ideale del tutto autosufficiente. Costruì case per gli abitanti che seguivano attività agricole all’avanguardia, coltivazioni di barbabietole e riso e attività tessile, con una risiera, il mulino e la fornace, due scuole, una chiesa, una tipografia e produzione di miele. Il motto era “Utile Dulci” e il simbolo un’ape. Una storia che guardava al futuro che finì con la morte dell’ultimo discendente della famiglia.

Tutte le mattine con qualsiasi tempo facevo i miei 6 chilometri di camminata mattutina di cui vi faccio vedere alcune foto.

La prima mattina un grandissimo vento freddo ma il susino fa ben sperare e infonde forza, ce la faremo! E appena passato il cantiere dell’autostrada, (mamma mia quanti disastri per il benessere…)i campi arati e il sole in controluce continuano a spronarci.

La tavola di pasquetta apparecchiata da Sandra con l’aiuto di Giuliana è un florilegio regale. Per accogliere un magnifico, delicato risotto ali fiori di tarassaco. Campeggia un gigante Iris carnoso, la foto verrà poi usata da Deborah per la campagna di pubblicità del bar di Mocenigo per il ponte del 25 aprile (tra l’altro anche festa veneta per il giorno di san Marco). Vedete una foto da aperitivo, con la barchessa della villa di Alviisopoli capovolta. Per chiudere la serie una foto scattata la sera di ritorno dal recupero vetro. Bisogna essere sempre pronti a cogliere le suggestioni che ci arrivano. Tutte le foto sono state scattate con un vecchio iPhone SE e leggermente leggermente trattate.

Il video su YouTube “Fiori Come lo sfiorire diventa arte” sta andando fortissimo, sarà il cambio di giorno della première, sarà la vostra fantastica curiosità, ed un buon impegno da parte mia che le visualizzazione sono state più di 170 in due giorni, un record per il canale. Quindi ne consiglio la visione se ve lo siete perso, visto che è un omaggio floreale alla primavera. 

Luca mi scrive “Me lo sono gustato in ritardo, come se l’attesa stessa sia una componente fondamentale del progetto. Ammetto di non aver mai legato lo ‘sfiorire’ ai fiori…e sì che con le parole amo giocare…geniale, intimo e delicato. 

Tanta é l’intimità che crei che passare al tu viene spontaneo, le associazioni personali mentre ti osservo e ascolto, apre un kaleidoscopio di ricordi sopiti, dimenticati. Altri me che in me convivono sotto pelle. Che bellezza!!!” E non posso che esserne felice, ve lo riporto per invogliarvi non di certo per vanagloria.Trovate il link.

La novità per la settimana prossima è che sto preparando il video successivo ed è dedicato interamente agli alberi. Partirò da una breve lettura del “Barone rampante” di Calvino per passare foto di Ansel Adams e Tod Hido senza scordare Joel Meyerowitz e le splendide donne Beth Moon, Nan Goldin e Vivian Maier. Martedì 

26 aprile la première alle 20,30. Lì potremo condividere i commenti in diretta, naturalmente vi aspetto.

E come sempre vi dico la musica che ha accompagnato la stesura di questa lettera, la compositrice è Agnes Obel  e il brano Under Giant Trees. 

Naturalmente nei miei video la musica di sottofondo è quella che creo da me al mio pianofortino che in questa occasione direi che si trasforma in un “Pinofortino”.

Buoni alberi a tutti, guardateli, ammirateli, proteggeteli, fotografateli e fateli crescere. 

“Certi alberi stanno, pazientemente” come ci suggerisce Mariangela Gualtieri.

Ciao, un bacio, e alla prossima.

Vivian Maier e il cinema

Vivian Maier, un manuale perfetto per rubare l’intimità con il cinema.

Il cinema e i filmati sono basilari per studiare Vivian Maier. Aiutano a far capire dove il suo occhio cadeva, come sceglieva le persone da fotografare, come catturava le sua prede fotografiche lo si vede bene nei suoi film. Nella fotografia di strada riusciva sempre ad entrare in contatto con uomini, donne, anche bambini. Con loro si stabiliva una sorta di intimità immediata e sceglieva un istante favorevole per quel che voleva dire e voleva mostrare.  In questo video ci sono le testimonianze di due sue compagne di scuola quando frequentava la elementari in Francia e il racconto di uno studioso dell’Association Vivian Maier et le Champsaur. Tutte informazioni che son state fondamentali per costruire il mio spettacolo “Gli occhi di Vivian Maier, i’m a camera” che porto per i palcoscenici europei e anche nelle case private di cui presento una piccola scena il Film Center. Lo spettacolo l’ho presentato nel Cinema di Saint Julien en Champsaur che era frequentato da Vivian Maier durante i suoi soggiorni francesi.

Vivian Maier e il cinema. E non ve lo aspetterete ma andiamo in Francia. Nella zona della Hautes Alpes, Champsaur. Dopo Briançon, c’è Gap. Sulle montagne di fronte.

Ho scritto uno spettacolo su Vivian Maier che abbiamo presentato in Italia, Francia e Svizzera. Allestito due mostre e scritto un libro sulla grande fotografa. Insieme a Caterina Cavallari continuiamo a studiare la sua opera cercando di darle dignità come fotografa e come donna.

Siamo a Saint Julien en Champsaur. Quella è la zona della famiglia di Vivian Maier. I Jaussaud.  Ci siamo stati parecchie volte per le ricerche su di lei. Son bellissime zone. E piccoli paesini semplici ma ricchi, in particolare di persone splendide e accoglienti. Vivian Maier ci è vissuta in due momenti della sua vita. Durante il periodo della scuola d’obbligo, quando ci venne dall’America con sua madre e poi agli inizi degli anni cinquanta, poco più che ventenne e già con una voglia di fotoografie di cui vi parlerò, Curiosa e assetata di notizie e di cultura. Nella piazza di Saint Julien en Champsaur ho conosciuto  due compagne di scuola dei tempi di Vivian. Quindi è realmente esistita, smentendo tutti i dubbi sulla sua non esistenza, il creare confusione introno alla sua figura e decidere a senso unico  cosa lasciar trapelare e cosa occultare o più semplicemente inventare  una storia senza fare ricerche approfondite.  E su questo ci sarebbe da dedicare molte ore di argomentazioni. Insomma nella piazza parliamo di lei  di come si divertisse a scivolare sulla neve  nella strada principale  o come restasse ore e ore a guardare incantata  il mercato dal balcone di casa sua. 

Marinette Reboul ci racconta “Ho conosciuto Vivian, ma ero tanto giovane! meriterebbe fermare il tempo delle volte! Ha vissuto qua con la mamma.  Mi ricordo della scuola.  Lei era avanti di due anni.  È diventata famosa, ci sono stati articoli dappertutto.  Fotografa eccezionale.  Ha fatto delle foto meravigliose.  Ha fotografato delle cose inattese.  Fotografie che non sono abituali. Era alta, fisicamente non era male. Giocavamo a campana, era formidabile! Qui nella piazzetta. E quando c’era la neve scendevamo sul corso in discesa, lo facevamo tutto fino in fondo con lo slittino!”

Oppure di come non fosse contenta di partire per il suo ritorno in America nel ’38  dopo aver frequentato tutto il ciclo delle elementari in Francia pressochè in una bellissima campagna,  libera e senza pensieri.

Così ci racconta Lea Anselme. “Viveva un poco ritirata,  non era timida ma parlava poco. Era molto riservata. Non raccontava niente della sua vita. Era riservata. Non era scontenta, era riservata e quindi  il dialogo era difficile con lei.L’altro giorno sono stata dal dentista e ho visto delle sue foto su una rivista. Foto magnifiche. Me la ricordo quando era sul suo balcone  e guardava incantata la fiera. Mi sembra che non era contenta di partire per l’America. Mi sembra proprio che non voleva. Mi chiedo ancora se fosse davvero contenta di andarsene. È stata obbligata. C’era qualcosa che non la rendeva felice. Non era per sua madre. No, suo padre non l’abbiamo mai conosciuto. Era sempre alla ricerca di qualche cosa.”

In questa piazza c’è un cartello inchiodato sul tronco di un albero E sorprende in un paesino così piccolo ci sia una sala per le proiezioni. Ci raccontano si tratti di un piccolo teatrino. In quel teatro Vivian Maier ci andava durante il suo soggiorno francese. Soprattutto negli anni tra il 50 e il 52,  quando aveva 24 anni  e si era già inserita nella vita americana d New York. Bene il teatro è ancora funzionante, tutte le settimane apre,  c’e un circolo che organizza un cineforum. Insomma è tuttora attivo.  La stradina è stretta. Andiamo a vederlo. Semplice, artigianale. Col tempo, dopo le nostre frequentazioni, con gli amici dell’Association Vivian Maier et le Champsaur che stanno facendo un lavoro di ricerca e di ottima cultura sulla fotografa ci invitano a presentare lo spettacolo proprio lì. Quando è tutto pressochè deciso Allora ci andiamo per un sopralluogo. Una delizia. Un centinaio di posti. Un piccolissimo palcoscenico.  Tutto un poco cadente, provvisorio ma pieno di fascino. Allora ci mettiamo in moto per lo spettacolo, la traduzione, imparare il testo  e soprattutto la pronuncia  che va curata, raffinata. Finalmente vengono i giorni della rappresentazione. Si allestisce la rappresentazione e il montaggio di tutto il materiale, a malapena ci entrano il proiettore, che non può entrare dietro lo schermo di proiezione, ma l’emozione e la voglia sono alle stelle. Alla fine il pubblico arriva e si può dare inizio allo spettacolo. Tre repliche. Alla fine di ogni rappresentazione il dibattito, vengono anche i suoi compagni di giochi. Emozione fortissima! E’ un evento anche per la cittadina. Così come è stato quando hanno fatto l’esposizione di fotografie donate al comune da John Maloof e i soggetti ritratti si sono riconosciuti e si sono ricordati di quella scriteriata che andava in giro con due macchine fotografiche e scattava chiunque e ovunque, dai funerali agli eventi, i parenti e le amiche.

Continuiamo con il cinema e Vivian Maier Poi Vivian ritorna in America e si stabilisce a Chicago. Ci sono diverse testimonianze di persone che conoscono Vivian. Lei frequenta attivamente la vita culturale della città.  Cinema, teatri, biblioteche e università. Frequenta alcune lezioni ed interviene sempre con domande. Spesso si reca al Film Center, Una sala di film sperimentali,  il direttore è Jim Dempsey  che dichiara che quando lei gli parlava gli stava così vicino che sperava non ritornasse più. Ci sono stato quando sono andato a Chicago. Nel viaggio-studio per verificare i luoghi della sua vita ed alcune fonti. Ho fatto alcune foto  e nella scena dello spettacolo in cui racconto impersonando il personaggio di J., una sintesi dei diversi ricercatori della fotografa al quale è affidato  il compito di raccontarci i momenti storici  e cronologici della sua vita, racconta della frequentazione della Maier agli eventi culturali. 

A proposito di Cinema e Vivian Maier sono importantissimi i suoi filmati. Filmava in super otto e sedici millimetri. Interessantissimi. Andava in giro con a tracolla a volte una solo  a volte con due rolleiflex  e anche una cinepresa.  In quelle pellicole c’è molto da capire. Secondo me ci sono i veri occhi, si scopre cosa lei guardasse davvero,sono come degli studi, degli abbozzi.  Si capisce cosa cercasse delle persone.  Sono proprio la testimonianza  di dove cadesse il suo sguardo cosa le interessasse davvero. Si fissava su di un particolare, non gli staccava gli occhi di dosso.  Sapeva individuare le persone particolari,  sembrano i filmati di una caccia grossa. Aveva un occhio magico. Sembra una fotografa istantanea. Ce l’hanno sempre presentata come una persona compulsiva, una sorta di serial killer della fotografia, che impazziva se non scattava, ma secondo voi chi non è così dei grandi (o piccoli) fotografi? Di ogni appassionato di questa pratica? Abbiamo abbastanza questa idea. Scatti, scatti scatti in continuazioni, frenetici, era malata,compulsiva, click, click, click in continuazione. Ma attenzione, lei guardava prima, seguiva, braccava la sua preda con attenzione. Con tenacia e cura e circospezione. Certo poi se ne andava. La pensiamo… come un gatto.  Tin tin tin si avvicina stile cartone animato, nascosta,  furtiva, click e via.

Su di questo ho scritto una mezza paginetta nel libro. Si intitola “L’autre Vivian, un viaggio inedito nella Francia di Vivian Maier”  e riporta molte interviste, ragionamenti e ricerche sulla grande fotografa. Nel brano che vi presento parlo un poco di fotografia. E sono quasi parole che attribuisco a lei. Ve la leggo.

“Veloce non significa affrettato. La velocità si avvicina alla rapidità, ha qualcosa di animalesco è una dote fondamentale per un fotografo, si deve avvicinare anche silenziosamente, deve dominare la situazione, deve essere reattivo, deve prevedere, deve impostare i parametri della macchina fotografica. Affrettato è usato troppo spesso come sinonimo ma significa ben altra cosa, una fotografia affrettata non è pensata, non nasce da un bisogno, da uno stupore, da una ricerca, accade, è molto simile al termine “di sfuggita”, sa di animale in fuga, quando si avvicina fa disastri, è dominato dalla situazione,  sa reagire perché scatta, quello che viene viene, magari avrò fortuna. Vivian Maier sicuramente in questo senso amava la velocità. Veloce, mai affrettata”

Questa è un poco la nostra malattia, essere veloci, soprattutto e troppo con le fotografie.

Ma torniamo ai filmati super otto. Perchè ce n’è uno splendido. Sapete, lei faceva la bambinaia e ha seguito per tantissimo tempo  i 3 figli della famiglia Gensburg. Si affeziona tanto a loro.  E loro a lei, così tanto che saranno loro  a prendersi cura di lei quando invecchia,  loro trovano per lei un’appartamento al Rogers Park di Chicago Ci sono stato.

A Chicago c’è un lago enorme, il lago Michigan L’orizzonte è sempre acqua, come il mare, dall’altro lato c’è il Canada. Insomma in questo parco, un piccolo parco ci sono arrivato. Ed arrivarci è un’esperienza  La fermata è soprannominata “The Hell”, l’inferno. Scendo e capisco immediatamente,  poichè ero solo,  che la prima cosa da fare è ritirare la macchina fotografica,  nasconderla per bene. Arrivo nel parco e trovo la panchina dove lei sedeva per ore e ore  a guardare il lago,  la gente. E’ un piccolo parco. Molto molto carino. Qui i suoi bambini i tre figli Gensburg la aiutano a sopravvivere e un poco la seguono. La aiutano a trovare casa. E a proposito di loro il film più bello è quello del campo delle fragole. Un grande campo dove Vivian li accompagnava sempre. Era il loro preferito. Una sorta di giardino segreto. Luogo di giochi. Si dice che lì i fratelli abbiano disperso le sue ceneri. Insomma: c’è il filmato di questo campo. Probabilmente uno di loro, o un loro amichetto si impadronisce della super otto di Vivian e li filma.Da qui si capisce anche come lei si dedicasse loro. Una tata ideale,  una splendida zia quasi.

E vorrei chiudere con l’arte del cammuffamento. Potremmo intitolare questo capitolo finale. Il cinema è l’arte ideale del cammuffarsi, come il teatro.Vi riporto le parole di Gaston Gay  un membro dell’Association Vivian Maier et le Champsaur ce ne parla.

“Questo “camouflage” penso nel vestire nell’essere di non parlare le permetteva di rubare la loro intimità delle persone di prendere sul vivo non so se di dice un istante il più favorevole per quel che voleva dire quel che voleva mostrare  Li prende nel vivo.  Un istante, il più favorevole per quel che voleva dire. Voleva mostrare.  Ha fatto un lavoro fantastico in America: mostrare la vita della gente  sia povera sia ricca,  sia giovane sia vecchia  e questa testimonianza storica e sociologica  prova che questa signora che per me è una  signora, ma una donna prima di tutto,  e dunque una signora, perché aveva una visione universale, una visione moderna. Voleva mostrare a tutti le qualità ,ma anche tutti i difetti della società americana.  Lei andava nei quartieri poveri, pericolosi e questo “camouflage” nel vestito nell’apparenza di una donna senza essere troppo donna le permetteva di prendere queste foto, rubate, e di non essere disturbata dagli uomini e dalla gente.”

Ecco questa era Vivian Maier e il cinema.

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